Amarezza, delusione e tanta stanchezza, soprattutto mentale. Ma anche voglia di non arrendersi. Questi i sentimenti che ieri nel primo pomeriggio, alla lettura della sentenza d'appello pronunciata a Roma, sono emersi dalle reazioni dei familiari di Emanuele Morganti. Poche le parole a caldo, anzi, all'uscita del tribunale bocche cucite e sguardo rivolto verso il basso. Dopo solo qualche ora, al rientro a casa, ancora una volta è stata Melissa Morganti, sorella di Emanuele, a non tirarsi indietro nel voler commentare una sentenza tanto attesa e per certi versi temuta.

Perché il pensiero che, comunque, tutto potesse essere ribaltato, in cuor suo come per il resto della famiglia, c'era. Le sue riflessioni sono quelle di una sorella devastata da questa tragedia che sin dal primo istante l'ha vista in prima linea nel cercare di avere giustizia gridandolo in tutte le maniere.

Cosa avete provato alla lettura della sentenza?
«Più che delusione siamo rimasti molto amareggiati soprattutto dalla conferma che in Italia, nei tribunali, ancora continuano a prevalere tecnicismi e cavilli giuridici più che la ricerca della verità e l'affermazione della giustizia».

Temevate la decisione dei giudici?
«Sicuramente potevamo rischiare grosso anche noi, cioè rischiare che questa sentenza venisse ribaltata completamente e ritrovarceli magari tutti liberi. Sostanzialmente è stata confermata la sentenza di primo grado anche se non abbiamo ancora capito bene la riduzione dai sedici a ai quattordici anni. Ma questa cosa ce la spiegheranno».

Siete evidentemente delusi...
«L'amarezza è tanta, sì. Perché anche questa volta venti minuti di ferocia e persecuzione verso mio fratello non sono bastati a convincere i giudici e quelli popolari. Una condanna maggiore, come abbiamo sempre ribadito, non ci avrebbe restituito Emanuele, ma forse una sentenza diversa sarebbe stata un deterrente verso chi commette questi gesti».

Una sentenza che conferma quella di Frosinone. Al processo per l'omicidio di Emanuele Morganti, ridotte da 16 a 14 anni le tre condanne, ribadita l'assoluzione di Franco Castagnacci. Sono circa le 15, quando dopo tre ore di camera di consiglio esce la Corte d'assise d'appello e pronuncia il verdetto. Per Mario Castagnacci, Michel Fortuna e Paolo Palmisani le condanne scendono di due anni. In linea generale è confermato l'omicidio preterintenzionale, così come qualificato dalla corte di Frosinone. Restano le responsabilità dei tre principali imputati: per Fortuna e Palmisani, ai domiciliari, ora si potrebbero riaprire le porte del carcere, da dove, invece, non è mai uscito Mario Castagnacci. La corte presieduta dal giudice Andrea Calabria (relatore Giancarlo De Cataldo) non si discosta da quanto deciso in primo grado, nonostante la procura generale, come ha fatto quella di Frosinone, insista per l'omicidio volontario, così come la parte civile con l'avvocato Enrico Pavia per la famiglia Morganti.

C'è una limatura della pena, ora bisognerà attendere 90 giorni per leggere le motivazioni e capire come si sia orientata la giuria. Nello sconto di pena potrebbe aver pesato la giovane età degli imputati, difesi dagli avvocati Tony Ceccarelli, Christian Alviani, Giosuè Bruno Naso, Angelo Bucci e Massimiliano Carbone.
Ormai, al netto di ricorsi in Cassazione, che ci saranno (anche in questo caso tutte le parti sono scontente), la fase di merito è conclusa: Emanuele dunque è stato vittima di un omicidio preterintenzionale. Quanto a Franco Castagnacci, difeso dall'avvocato Marilena Colagiacomo, sicuramente hanno inciso le testimonianze contraddittorie, con accusa e difesa che cercavano di farle pendere ora da una ora dall'altra parte. Così l'assoluzione è stata confermata.

L'avvocato Colagiacomo ha commentato così: «il processo d'appello per Franco Castagnacci è stato forse più difficile del primo grado perché, partendo dall'assoluzione codice alla mano, in appello vengono sentiti solo i testimoni indicati dall'accusa quindi il mio compito è stato arduo nel dover ripercorrere ed illustrare alla corte tutte le testimonianze di primo grado che la giuria d'appello non ha ascoltato perché aveva solo gli sterili verbali». Complice le norme antiCovid il processo si è svolto senza partecipazione di pubblico, al contrario di quanto avvenuto a Frosinone. Comprensibile l'amarezza della famiglia di Emanuele, strappato alla vita a soli 20 anni.

La ricostruzione
Un venerdì come tanti il 24 marzo del 2017. Da trascorrere con la fidanzata e gli amici. Sarà l'ultimo fine settimana di Emanuele Morganti. Emanuele ha vent'anni e tutta la vita davanti, ma un'aggressione brutale e senza motivo, in piazza Regina Margherita, proprio davanti al Miro music club, gli stronca l'esistenza. Entrato nel locale, Emanuele va al bancone. Lì è spinto piùvolte da un altro avventore. Forse per la precedenza. Non si saprà mai. Quell'uomo è Domenico Paniccia, come poi ricostruiranno i carabinieri al termine di un certosino lavoro condotto sotto il coordinamento della procura di Frosinone. All'interno del Miro, Emanuele è aggredito. Il clima si fa minaccioso e i buttafuori decidono di far uscire solo Emanuele. Lui protesta. Si ritiene vittima di un'ingiustizia. Viene portato fuori «per la sua sicurezza», diranno i buttafuori, prima indagati, ma le cui posizioni saranno archiviate.

All'esterno Emanuele è colpito subito, davanti alla porta del club. Scappa in via dei Vineri ed èa ggredito ancora. Poi, quando sembra tornata la calma, Emanuele scende verso la piazza. Va dalla fidanzata. Scambia con lei qualche parola dolce. Saranno le ultime affettuosità con Ketty perché Emanuele, nonostante l'amico Gianmarco Ceccani gli urli di andarsene, è picchiato ancora. Prova a sottrarsi, ma finisce in un «cul de sac» secondo le parole del procuratore Giuseppe De Falco, ora a Latina. Lì vicino agli uffici del giudice di pace subisce gli ultimi due colpi e crolla. Nella caduta, a peso morto senza protendere le mani in avanti per parare il colpo diranno i testimoni sbatte contro il montante di una Skoda in sosta. Fino a quel momento nessuno delle centinaia di persone presenti in piazza né tantomeno i buttafuori allertano le forze dell'ordine.
Solo quando l'irreparabile è accaduto, si chiamano l'ambulanza e i carabinieri.

Emanuele viene trasportato all'Umberto I a Roma. Morirà alle 21 del26 marzo. Due giorni dopo una fiaccolata con duemila persone lo ricorda: si chiede giustizia. Il 1° aprile una folla immensa, a Tecchiena, partecipa ai funerali. Le indagini per ricostruire l'omicidio partono la sera stessa. Ci sono i primi fermi, Mario Castagnacci e Paolo Palmisani saranno arrestati il 30 marzo a Roma. C'è un particolare che scatenerà polemiche: lo stesso giorno dell'aggressione a Emanuele, Mario era stato scarcerato. Castagnacci, che da tempo viveva a Roma, era stato fermato il giorno prima insieme a tre coinquilini per droga. Il gruppo si difende sostenendo il consumo di gruppo.
Il pm, un magistrato onorario, in sede di convalida, la mattina del 24 marzo, non chiede una misura restrittiva e così il giudice, non potendo fare diversamente, lo scarcera. Nessuno può immaginare quanto sarebbe accaduto poi. Interverrà perfino il Consiglio superiore della magistratura che valuterà corretto l'operato del giudice che ha disposto la scarcerazione. Il 10 aprile 2017 i carabinieri arrestano Michel Fortuna, l'unico frusinate.

Il 30 ottobre è la volta di Franco Castagnacci, padre di Mario. Quando gli viene notificata l'ordinanza di custodia cautelare è già in carcere, a Velletri, per droga.
Nel corso del processo Franco sarà l'unico a beneficiare dei domiciliari, il 17 aprile 2019 (verrà liberato con l'assoluzione). Dopo la sentenza di primo grado ai domiciliari vanno Paolo Palmisani (il 15 ottobre 2019) e Michel Fortuna (il 31 ottobre 2019). Il 16 febbraio 2018 davanti al gup di Frosinone inizia l'udienza preliminare. La difesa chiede il trasferimento del processo per timori di condizionamenti esterni. L'11 giugno la Cassazione respinge la richiesta. Il 28 giugno il gup Antonello Bracaglia Morante dispone il rinvio a giudizio. Il 19 settembre 2018 in tribunale a Frosinone inizia il processo. Dei 166 testi sentiti nelle indagini preliminari, ne saranno chiamati 85. Per la sentenza serviranno 24 udienze. Il 26 luglio 2019 il verdetto: ed è contestazione dentro e fuori il tribunale. Tutte le parti faranno appello. Appello che si celebra a Roma a partire dal 19 novembre.

di: Raffaele Calcabrina