Modifiche unilaterali dell'orario di lavoro senza il consenso del dipendente: se lo stesso si rifiuta di adeguarsi, il licenziamento è illegittimo. A sancirlo il giudice del Lavoro di Cassino, il dottor Raffaele Iannucci, che si è pronunciato su un caso proposto da una (ora ex) dipendente originaria del Cassinate, assunta da una società di servizi che lavora per un Caf della Cisl. La lavoratrice, assistita dall'avvocato Maria Leda Piedimonte, ha presentato ricorso contro il licenziamento intimatole dall'azienda, per valutare pure la possibilità che venisse a configurarsi anche il cosiddetto quick mobbing per il quale, in caso, la società poteva essere condannata.

La vicenda
La ricorrente ha esposto di aver lavorato dal maggio del 1998 ininterrottamente per la Ust (Unione sindacale territoriale) della Cisl di Cassino per svolgere attività fiscale di raccolta ed elaborazione di modelli per la Fim-Cisl con mansioni di segreteria tutti i giorni dalle 8.30alle 13e duranteil periodo fiscale (1° aprile-31 luglio) con mansioni di collaboratrice fiscale sia di mattina che nel pomeriggio. Un'attività continuata negli anni, prima in forza di una serie di contratti di collaborazione, poi con un part-time (dopo una conciliazione) divenuto a tempo indeterminato per 20 ore settimanali e con l'inquadramento di un impiegato di IV livello.

Il lavoro prevedeva di spalmare le ore secondo una calendarizzazione ben precisa che diveniva più intensa sempre durante il periodo fiscale. Fino a che, nel 2017, la dipendente ha ricevuto una mail dal responsabile fiscale con nuovi orari decisi unilateralmente dal datore di lavoro, con una diminuzione delle ore totali ma con la distribuzione anche nel pomeriggio. Scelta che non le consentiva in alcun modo di gestire impegni familiari e personali. La dipendente, attraverso l'avvocato Piedimonte, ha subito contestato a mezzo pec la nuova calendarizzazione affatto discussa con lei.
Non si è presentata per due giorni sul postodi lavoro negli orari decisi unilateralmente e subito contestati. Ma secondo le vecchie disposizioni. E, come dichiarato agli atti, sarebbe stata oggetto prima di comportamenti vessatori (dal cambio della serratura a sua insaputa, alla disabilitazione delle credenziali di accesso alla postazione lavorativa e persino l'accesso al proprio pc). Poi le sarebbe stato intimato il licenziamento. Che ha impugnato.

La decisione
Il giudice ha riconosciuto l'illegittimità del licenziamento ma non il quick mobbing né ha reintegrato la dipendente. Le condotte contestate alla donna dalla società come l'inottemperanza all'ordine di servizio per essersi presentata secondo il "vecchio orario di lavoro" sono «pienamente legittime». «La lavoratrice si sarebbe attenuta all'orario part-time che era stato concordato con il datore di lavoro nel 2016 e non a quello del 2017 risultato dalla modifica unilaterale e, dunque, illegittima comunicatole con una mail e prontamente contestato si legge nella sentenza facendo rilevare il conseguente pregiudizio alle esigenze della propria vita familiare».

Anche il lavoratore che sottoscrive la "clausola elastica" può chiedere variazioni e questo «non costituisce giustificato motivo di licenziamento». Quelle della dipendente cassinate, poi, sono infrazioni di particolare tenuità, perché «limitate a due episodi e determinate dalla reazione a una condotta illegittima datoriale». Non riconosciuta invece la configurabilità del mobbing, anzi del cosiddetto quick mobbing: attacchi vessatori particolarmente frequenti e intensi condotti nel'arcodi 3-6 mesi. La lavoratrice non sarà reintegrata ma, in accoglimento parziale del ricorso, il licenziamento è stato dichiarato illegittimo. E sarà risarcita con 5 mensilità, oltre alle spese di lite.