Non si sta scalando una montagna eppure il fiato è quello. È corto, troppo corto. Magari si sono fatti solo due passi, due minuscoli passi avanti a sé.
L'aria, così naturale, non basta mai: la sensazione toglie le forze, rende debolissimi e la consapevolezza del proprio stato mette i brividi. Non si può più stare a casa.
Quando si vedono i lampeggianti dell'ambulanza sono un frastuono per l'animo anche a sirene spente, tuttavia bisogna salire e lasciare alle spalle quelle mura protettive e quegli affetti cari che non possono seguirti. Con le peggiori immagini addosso. Il viaggio non finisce mai, "ho il covid" è una cantilena mentale che scoraggia a ogni respiro. "Sta accadendo a me?", si pensa anche.
Lo sconforto è naturale come quell'aria che manca. Ma c'è la voglia di farcela, di restare lucidi e combattivi, per non farsi vincere dal male che assale.

Il racconto di queste scene scorre nelle parole dell'artista, assai noto, Alessandro Minci: otto giorni di ricovero ospedaliero al Santa Scolastica di Cassino per Covid e relativa polmonite interstiziale bilaterale. Senza affetti accanto a sé, la figlia da accarezzare in fotografia, la vista del terrore negli occhi di un'altra persona alla quale stanno installando il casco Cpap, il vicino di stanza che non supera il "mostro" e muore.
Non si dimentica una esperienza così. Piuttosto diventa utile raccontarla per dire ai giovani, ai meno attenti, agli stessi adulti che può capitare a chiunque. Da un momento all'altro. E la vita prende subito tutt'altra direzione.

Hai vissuto l'esperienza del Covid, del ricovero, della paura. Come sono stati quei momenti? Che cosa pensavi?
«In passato ho affrontato prove dure come una brutta malattia e diversi interventi chirurgici correlati ma ero consapevole che, se le cose si fossero messe male, accanto avrei avuto gli affetti più cari. Il Covid invece impedisce anche questo. Dal momento in cui sono salito sull'ambulanza del 118 per insufficienza respiratoria, ho capito che da lì in poi sarei stato solo.
Il Covid è un po' come il cancro, pensi che possa capitare solo agli altri ma non è così e posso metterci la mano sul fuoco. I giorni del ricovero ospedaliero sono stati abbastanza duri, esami continui, cure e la consapevolezza della possibilità di non tornare più casa, cosa che purtroppo è successa al mio compagno di stanza che si era ricoverato il mio stesso giorno ma che purtroppo non ce l'ha fatta.
La voce di mia figlia, della mia famiglia e dei miei amici sono stati la grande forza che mi hanno aiutato in quei giorni bui.
Riguardo al ricovero - racconta Minci, 41 anni - un grosso ringraziamento lo rivolgo al personale del reparto di Medicina dell'ospedale Santa Scolastica. Non ho trovato solo dei medici fantastici, ma affetto, amore, sensibilità e attenzione nel non lasciarci mai soli.»

Sei giovane ed energico, come ti ha cambiato questa brutta esperienza? Alessandro di ieri è lo stesso di oggi?
«Questa esperienza mi ha fatto capire per l'ennesima volta che non siamo invincibili, alzarsi del letto e rimanere senza respiro, doversi appoggiare per riprendere fiato dopo appena due passi quando fino a 3 giorni prima correvo per quasi un'ora di seguito.
Questa esperienza mi ha cambiato, mi sento miracolato.
Ho avuto una seconda possibilità, ancora una volta.
Dobbiamo imparare ad amare ciò che abbiamo e soprattutto donare noi stessi agli altri, ognuno nelle proprie possibilità. Una lezione che ho imparato e ascoltato per l'ennesima volta. Sono lo stesso di ieri?
No non lo sono, guardo ogni giorno della mia vita come un dono prezioso da goderselo e preservarlo.
La tua famiglia, i tuoi affetti in quei terribili momenti?
«Uno degli aspetti più duri sotto il profilo psicologico è stato proprio quello della famiglia.
Ascoltare la loro voce, vedere tua figlia solo in foto, ascoltare la sua voce che ti chiede quando torni a casa; da un lato era una pugnalata al cuore, dall'altro la forza di voler guarire presto.

Oggi che messaggio senti di dare ai giovani come te?
«Nonostante venga ripetuto in tutti i modi di rispettare le misure di prevenzione da contagio Covid, molte persone continuano a vivere una "vita spericolata".
Purtroppo non sono solo i giovani i quali, molto spesso, alle spalle hanno adulti consenzienti!
Questo dovrebbe farci riflettere e mettere in atto misure culturali ed educative alternative a quelle attuali.
Proteggersi e proteggere gli altri dovrebbe essere una prerogativa etica e morale di ciascuno di noi.
A tutti i giovani vorrei far fare un tour nei reparti covid, leggere il terrore e la paura negli occhi di una persona alla quale stanno installando il casco Cpap.
Allo stesso momento è nostra responsabilità educarli al bello, a un'etica e una morale responsabile. Purtroppo anni di politica di basso profilo e investimenti pari a zero nella Cultura hanno imbarbarito e desensibilizzato gli animi di adulti e bambini».

E la tua adorata musica? Ti ha aiutato? Oggi che cosa sogni per il futuro?
«La musica in quei giorni è stata una componente indispensabile.
Ascoltavo musica quasi per 24 ore di seguito. La musica per me non è solo un sottofondo da ascoltare a casa oppure in auto.
Lei entra nella mia mente, nelle mie cellule entrando in vibrazione con l'anima.
Ho ascoltato molta musica a 432 Hz (frequenza di vibrazione dell'Universo), esperienza che invito tutti a fare.

Oggi cosa sogno? Di poter tornare presto alla normalità, una passeggiata a piedi nudi sulla spiaggia, un'escursione in montagna, una cena con gli amici, andare a un concerto, ad una mostra ma, soprattutto tornare a suonare dal vivo!».
È un rientro alla normalità quello che manca. Alessandro ce l'ha fatta. È da alcune settimane a casa e può abbracciare ogni giorno la vita Fuori infuria ancora la battaglia, pesantissima. Dove i protagonisti, come ha voluto spiegare anche il giovane, sono tutti. Tutti hanno lo stesso carico di responsabilità verso se stessi e verso gli altri.