Il 2020 si conferma sempre di più annus horribilis. Non bastavano gli effetti devastanti della pandemia sulla situazione sanitaria. I riverberi, purtroppo, sono pesantissimi anche dal punto di vista economico, se si pensa che, quest'anno, ogni ciociaro perderà 1.795 euro (il 9% in meno rispetto al 2019), con il reddito medio che scende da 19.899 a 18.104 euro (70º posto a livello nazionale). È il dato peggiore del Lazio, se si fa eccezione di Roma che fa registare -2.862 euro. Leggermente meglio va a Latina (-1.659 euro), Viterbo (-1.422 euro) e Rieti (-1.244 euro). La stima regionale è di -2.527 euro ad abitante.

Dando uno sguardo più generale, a causa del Covid, quest'anno ogni italiano perderà mediamente quasi 2.500 euro (precisamente 2.484), con punte di 3.456 euro a Firenze, di 3.603 a Bologna, di 3.645 a Modena, di 4.058 a Bolzano e addirittura di 5.575 euro a Milano. A stimare la contrazione del valore aggiunto per abitante a livello provinciale ha pensato l'Ufficio studi della Cgia di Mestre che, inoltre, ha denunciato un altro dato particolarmente allarmante: anche se subirà una riduzione del Pil più contenuta rispetto a tutte le altre macro aree del Paese (- 9%), il Sud vedrà scivolare il Pil allo stesso livello del 1989. In termini di ricchezza, pertanto, "retrocederà" di ben 31 anni. Su base regionale Molise, Campania e Calabria torneranno allo stesso livello di Pil reale conseguito nel 1988 (32 anni fa) e la Sicilia nientemeno che a quello del 1986 (34 anni orsono).

Il Lazio è la regione che perde di meno con una variazione in negativo dell'8,5% che riporta il pil indietro di 21 anni, al 1999.
Gli artigiani mestrini tengono a precisare che i dati emersi in questa elaborazione sono sicuramente sottostimati. Aggiornati al 13 ottobre scorso, non tengono conto degli effetti economici negativi che deriveranno dagli ultimi Dpcm che sono stati introdotti in queste ultime due settimane. Altresì, precisano che in questa elaborazione la previsione della caduta del Pil nazionale dovrebbe sfiorare quest'anno il 10%, quasi un punto in più rispetto alle previsioni comunicate il mese scorso dal Governo attraverso la Nadef.
«Con meno soldi in tasca, più disoccupati e tante attività che entro la fine dell'anno chiuderanno definitivamente i battenti – dichiara il coordinatore dell'Ufficio studi Paolo Zabeo - rischiamo che la gravissima difficoltà economica che stiamo vivendo in questo momento sfoci in una pericolosa crisi sociale».

Se nel breve periodo alle imprese sono ancora indispensabili massicce dosi di indennizzi, nel medio-lungo periodo, invece, bisogna assolutamente rilanciare la domanda interna, attraverso una drastica riduzione delle tasse alle famiglie e alle imprese per far ripartire sia i consumi sia gli investimenti. Purtroppo, la tanto agognata riforma fiscale verrà introdotta solo a partire dal 2022 e gli investimenti nelle grandi infrastrutture sono legati ai finanziamenti del Next Generation Eu che, nella migliore delle ipotesi, arriveranno solo nella seconda metà del 2021, espletando il loro effetto solo a partire dall'anno successivo.
La preoccupazione, conclude la Cgia, riguarda la tenuta occupazionale. Se nei prossimi mesi il numero dei disoccupati fosse destinato ad aumentare a vista d'occhio, la tenuta sociale del Paese sarebbe a forte rischio. Grazie all'introduzione del blocco dei licenziamenti, quest'anno gli occupati scenderanno di circa 500.000 unità. Un dato certamente negativo, ma lo sarebbe stato ancor più se la misura di sospensione non fosse stata introdotta dal Governo nel marzo scorso.

In termini percentuali sarà sempre il Mezzogiorno la ripartizione geografica del Paese a subire la contrazione più marcata (-2,9 per cento pari a -180.700 addetti). Sicilia (- 2,9%), Valle d'Aosta (-3,3%), Campania (- 3,5%) e Calabria (-5,1%), invece, saranno le regioni più "colpite". Tra tutte le venti regioni monitorate dalla Cgia, solo il Friuli Venezia Giulia, invece, parrebbe registrare una variazione positiva (+0,2%), pari, in termini assoluti, a +800 unità. Un risultato, quest'ultimo, che, comunque, nelle ultime settimane è peggiorato notevolmente. Per il Lazio si parla di una diminuzione degli occupati dell'1,7% pari a 41.600 unità in meno nel ciclo lavorativo tra il 2020 e il 2019 che fanno scendera la quota in termini assoluti da 2.385.900 a 2.344.300.