Il "manager di ferro", il leader della durissima linea antisindacale al quale, però, tutte le sigle riconoscono il merito di aver fatto crescere un dialogo senza paragoni negli anni in cui la storia del capitalismo italiano camminava parallela a quella dell'intero Bel Paese. E, indubbiamente, un innovatore che partendo da Colleferro ha cambiato le sorti dell'Italia e del Cassinate: il suo impegno concreto per lo stabilimento di Piedimonte in una zona a dir poco martoriata dalla guerra farà la differenza per un intero territorio.
Un territorio che ora piange la sua scomparsa.

L'esordio a Colleferro
Cesare Romiti, morto a 97 anni, è stato un dirigente storico della Fiat, braccio destro di Agnelli, guida dal '98 al 2004 del gruppo Rcs. Figlio di un impiegato delle Poste, laureato a pieni voti in Scienze economiche studiando di notte e lavorando di giorno inizia la sua carriera proprio a Colleferro nel 1947 dove lavora per il gruppo Bombrini Paro di Delfino, una delle realtà più importanti del Centro-Sud, di cui diverrà direttore. E per la Snia Viscosa, dopo la fusione con la sua ex azienda. Proprio per seguire da vicino questa fusione frequenta spesso gli uffici di Mediobanca a Milano, entrando nelle simpatie di Enrico Cuccia che due anni dopo lo nomina direttore e amministratore delegato di Alitalia fino ad arrivare nel 1974 nel gruppo Fiat.  La crisi petrolifera è in corso. E nel 1980 ottiene pieni poteri.

Ma gli anni '80 sono per il "capitano coraggioso" gli anni più difficili: Romiti era rimasto solo al posto di comando quando il 14 ottobre 1980, dopo 35 giorni di scioperi e l'annuncio di 14.000 licenziamenti, 40.000 quadri della Fiat scesero in piazza contro il sindacato. Poco dopo arriva l'accordo su una pesante riorganizzazione.
Qualcuno lo definirà, poi, un estremista dell'impresa.
Ma sei anni dopo il braccio di ferro e le lotte in fabbrica, la Fiat ha un fatturato di 40.000 miliardi di lire, con la Uno, la Thema, la Croma, la Y10 e la 164 tra le più vendute. L'azienda torinese è seconda solo all'Iri.

Il ricordo del senatore Picano
«Un uomo con una grande voglia di lavorare. Lo incontrai in diverse occasioni nel periodo in cui stavano trattando l'acquisto dell'Alfa Romeo. Poi un po' ci siamo distanziati: siamo invecchiati entrambi!» ricorda sorridendo, con un pizzico di ironia, il senatore e sottosegretario alle Partecipazioni statali e al Bilancio, Programmazione economica nei vari Governi, Angelo Picano. «Con lui avevo un buon rapporto, uomo di grande impegno ed energie e con una grande voglia di lavorare. Aveva una vasta esperienza per aver toccato con mano la durezza della realtà di quei tempi continua Picano C'era l'ipotesi di vendere alla Ford l'Alfa Romeo: vi furono accesi scontri. Che comunque portarono a piani di investimento alternativi per il Mezzogiorno: la Fiat come industria italiana per lo sviluppo del Paese.
Una convergenza anche con le forze politiche.
E finì che l'Alfa Romeo andò alla Fiat». Segnando le sorti dell'intero Cassinate. «Era brusco, come tutti i capitani d'impresa. Ma molto generoso e perbene.
Impegnato senza riserve per il bene dell'azienda e del Paese» conclude Picano.

I sindacati
Cifre professionali e umane che, nonostante il suo ruolo da "antagonista" dei sindacati, sono riconosciute dalle maggiori sigle.«Un grande manager e nello stesso tempo un grande oppositore del sindacato.
Fatta eccezione per i grandi investimenti realizzati di cui gli vanno dati tutti i meriti, in seconda battuta i piani industriali non credo siano stati più per lui al primo posto ha dichiarato Francesco Giangrande segretario provinciale Uilm Resta comunque una figura fondamentale sia per le imprese, la Fiat più di ogni altra, che per gli stessi sindacati. Non ricordo gli anni '80 ma proprio il 1980: un momento di grande contrapposizione con le sigle. E poi nel mondo politico.
Uno scontro che ha fatto maturare tanto anche il sindacato nonostante le sconfitte». «Ci ha lasciati una figura importante che, piaccia o meno, ha fatto la storia dell'Italia ha aggiunto Mirko Marsella della Fim Cisl e della Fiat».