Gabriel alle 14 circa era ancora vivo, fuori da quella casa col tetto in lamiera che era tutto il suo mondo.
Era vispo e sorridente, come sempre: «Un angelo, signor giudice» racconta uno degli ultimi testimoni ascoltati ieri. Quindici in tutto. Un'udienza fiume la quarta prima della calendarizzazione del processo a carico di Nicola Feroleto, il padre del bambino di Piedimonte ucciso forse perché piangeva. Nicola è seduto accanto al suo legale, Luigi D'Anna. Camicia bianca e blu a quadri, senza gilet. Ascolta e non muove un muscolo. E questa sua presenza, granitica, colpisce nonna Rocca che durante una delle ricostruzioni scoppia in lacrime ed esce dall'aula.

«Come fa a rimanere impassibile? Come si può?» dice la nonna di Gabriel, che continua aritenere che Nicola sia coinvolto. Sua figlia, Donatella Di Bona, è in carcere con la stessa accusa dell'ex compagno Nicola: aver ucciso il figlio, soffocandolo in un campo a pochi passi da casa. Donatella è più serena ora in carcere. Durante i colloqui, racconta nonna Rocca, chiede sempre di Gabriel e piange. Chiede che le vengano portate nuove foto. Nonna Rocca è un fiume in piena, scossa da quelle ricostruzioni che riaprono ogni volta una ferita insanabile. Ringrazia i suoi avvocati Alberto Scerbo e Giancarlo Corsetti per l'aiuto. Poi crolla di nuovo. I testimoni raccontano di un bambino sereno, di quell'angelo che sorrideva sempre.

«Un bambino curato, pulito» riferisce il medico di una clinica di Cassino che proprio la mattina di quel tragico 17 aprile lo vede tra le braccia dello zio: Donatella era andata lì per una visita. Ma in quella frazione di secondi, il medico non nota i graffi sul naso del piccolo. Lo saluta dalla porta. Così anche nei racconti degli altri testimoni, soprattutto gli ultimi, Gabriel resta un bambino felice e pieno di vita. Donatella, invece, viene descritta come una ragazza triste. «Una persona affidabile: la famiglia per qualunque cosa diceva di riferire a lei. Mite, educata. Ma da una ragazza della sua età ci aspetta un'altra verve» racconta il medico in aula.

«Aveva lo sguardo assente» afferma unaltro operatore sanitario, che la incontra per le scale di un'altra struttura medica. «Spesso litigavano, anche in cortile. Soprattutto per questioni di gelosia, magari per una maglia scollata. Donatella era innamoratissima di Nicola, aveva per lui mille attenzioni» riferisce un altro testimone che frequentava spesso zona Volla per lavoro e per questioni familiari. «A volte Donatella discuteva anche con i suoi familiari per Nicola che, però, non ha mai alzato le mani. Né su di lei né sul bambino. Solo urla». I racconti dei vicini di casa, dopo quelli tecnici dei marescialli incaricati di eseguire i sequestri di abiti e cellulari e del capitano Tamara Nicolai si susseguono senza sosta.

L'ipotesi dell'investimento
 A tutti, in prima battuta, l'omicidio di Gabriel era sembrato un incidente. «L'hanno "buttata sotto" col bambino, sono finiti nel fosso. Lei ha detto di essere svenuta» raccontano ancora in aula. Però nessuno dei presenti nota segni di investimento: solo quei graffi sul naso del bambino. «Poco prima delle 14 Gabriel era fuori dall'abitazione» racconta un testimone che fa salire in macchina lo zio della vittima per andare a casa sua per alcuni lavori.

«Ci siamo fermati a prendere alcuni vestiti di Luciano.
Il bambino era ancora lì, dentro Donatella e la madre» sottolinea. L'ipotesi del medico legale, quella per cui l'omicidio per asfissia meccanica durata tra gli otto e i dieci minuti sia avvenuto tra le 13.30 e le 16, ha trovato conferma nella testimonianza di ieri. Gabriel a quell'ora era ancora un bambino felice. Le difese anche Montanelli e Perna per le parti civili sono pronte a tornare in aula l'11 settembre. Poi il 18 e tutti i venerdì.