Il profilo criminale e la pericolosità sociale degli indagati emergeva anche dai sistematici accorgimenti adottati per eludere i controlli da parte delle forze dell'ordine.
Le conversazioni avvenivano sia in italiano che in albanese utilizzando riferimenti convenzionali prestabiliti; il trasporto dello stupefacente avveniva tramite staffette di più auto di cui una precedeva le altre per avvisare di eventuali posti di blocco; veniva cambiato sistematicamente il luogo degli appuntamenti e spesso al luogo individuato venivano convenzionalmente assegnati diversi nomi codificati.

Le risultanze investigative, con le attività tradizionali di osservazione e pedinamento e da molteplici attività tecniche, hanno consentito di dimostrare l'esistenza di una organizzazione criminale albanese-italiana ben strutturata, ramificata sul territorio e dedita al traffico e alla commercializzazione di ingenti quantitativi di cocaina.

Nel corso delle indagini, conclusesi a settembre 2018, oltre alle ordinanze eseguite ieri, sono state altresì arrestate quindici persone in flagranza di reato, cinquantanove persone denunciate (13 raggiunte anche dalla misura di ieri ), sessanta assuntori di stupefacenti segnalati all'Autorità amministrativa.

Il lavoro ininterrotto dei militari, i pedinamenti e le attività di osservazione, hanno consentito di superare gli accorgimenti posti in essere dai malviventi, tanto da riuscire a dare riscontro a due appuntamenti tra i due sodali albanesi e altri due connazionali provenienti dalla periferia sud della Capitale, quando si riuscirono a sequestrare, nel primo intervento, oltre 60.000 euro occultati in una intercapedine segreta ricavata all'in terno del cruscotto di un'auto, e, nel secondo, ulteriori 45.000 euro, "certificando" così la consegna di ben oltre 105.000 euro per la fornitura all'ingrosso della cocaina ricevuta dai due corrieri romani.

Questo considerevole danno economico induceva gli stessi a tentare di sviare i controlli e a ricorrere persino ad omertosi tassisti per farsi trasportare nelle piazze di spaccio o nei luoghi di occultamento della "merce".

Tuttavia gli investigatori sono riusciti comunque a localizzare un vero e proprio "magazzino all'aperto" dello stupefacente, in un'impervia pineta a Monte Radicino nel comune di Ferentino e gestito per conto dei due albanesi da due italiani residenti nella zona.

Questi ultimi, nascondendosi dietro un'attività di pastorizia, conducevano anche una efficiente piazza di spaccio operante h24 e punto di riferimento per i consumatori della periferia frusinate.

Lo spiegamento di circa 50 militari coadiuvati da unità cinofile permetteva di rinvenire infatti nell'area, sotterrati a ridosso di grossi massi, due contenitori in plastica con all'interno 4,5 kg di cocaina pura, nonché vari altri recipienti vuoti che facevano ritenere che in quel punto fossero stati celati almeno altri 40 kg di cocaina.

Pochi giorni dopo il ritrovamento della droga, veniva inferto al gruppo criminale un altro duro colpo con il sequestro, in un ovile di Anagni, di 250.000 euro in contanti che, per renderli introvabili e quindi non collegabili all'attività criminosa appena scoperta, erano stati ingegnosamente affidati ad una insospettabile donna.

Nel corso delle indagini emergevano altri nascondigli utilizzati per la droga: in un canneto attiguo al fiume Cosa o nelle case dei sodali.

di: N. F.