Se c'è una certezza in Italia sulla questione mascherine è che regna il caos totale. Un caos a tutti i livelli.
Alfonso Marra è ceo di Klopman, leader mondiale nella produzione e commercializzazione di tessuti tecnici per l'abbigliamento da lavoro, che a Frosinone ha uno stabilimento di eccellenza.

Klopman da settimane produce mascherine protettive sterilizzabili e riutilizzabili fino a 50 volte, in grado di offrire notevoli vantaggi in termini di protezione, traspirabilità, logistica e smaltimento rispetto alle equivalenti usa e getta.

Dottor Marra, l'Italia non sta facendo una grande figura sulla questione mascherine e lei stesso nei giorni scorsi ha espresso posizioni molto critiche...
«L'analisi della vicenda è drammaticamente molto semplice. Si stanno manifestando quelle grandi difficoltà nell'approvvigionamento delle mascherine che, già quasi due mesi fa, avevo fatto presente alle autorità italiane a vari livelli. La storia di questi giorni mi sta dando ragione. Emerge una grande incapacità manageriale di fondo. Sono stati fatti degli errori macroscopici: dire a 60 milioni di italiani che sarebbero stati riforniti di mascherine è significato, in buona sostanza, dire che sarebbero serviti 60 milioni di mascherine al giorno. Un'assurdità che si fonda sulla totale mancanza di conoscenza dei materiali e dei processi di produzione di questi dispositivi.

Il tessuto non tessuto, di cui è composta la mascherina, non cresce sugli alberi, è un estratto del petrolio e viene prodotto in gran parte in Cina e venduto attraverso broker internazionali sparsi in tutto il mondo a prezzi che sono decuplicati. Ma il Governo e il commissario per la gestione dell'emergenza queste cose le hanno capite? Come si può pensare di avere disponibili 60 milioni di mascherine al giorno? E poi, come si può pensare di calmierare il prezzo di vendita di un bene quando a monte non si riesce a calmierare il prezzo di acquisto della materia prima? Questi sono concetti quasi di economia domestica, non servono particolari titoli accademici per capire come funzionano certi meccanismi elementari.

Poi si è sottovalutato un altro aspetto, ovvero quello dello smaltimento di questi dispositivi che sta diventando un'emergenza nell'emergenza. Nessuno ha pensato a un piano,di filiera, per gestire un rifiuto che rischia di "sommergerci". Insomma, un disastro.
Mi chiedo infine: perché in Olanda o in Germania sono state promulgate leggi in base alle quali le industrie tessili possono produrre per lo Stato mascherine di un certo tipo destinate alla popolazione che non deve stare a diretto contatto con i malati e in Italia no? Perché? Io vedo tanta gente con le mascherine usa e getta che, per mancanza di disponibilità, le ricicla per settimane.
È evidente che questo può creare dei problemi sanitari, perché una mascherina del genere, dopo otto ore, deve essere cambiata e invece viene utilizzata più e più volte». 

C'è, poi, il problema di ottenere certificazioni e autorizzazioni per chi vuole produrle...
«Questo è un altro grande problema. La certificazione Iso che noi utilizziamo in Italia è entrata in vigore da circa un ventennio, se non erro, ed è stata introdotta per certificare le mascherine in tessuto non tessuto provenienti dalla Cina. In Italia, poi, abbiamo pochissimi laboratori autorizzati a certificare sul territorio nazionale.
C'è una coda di richieste di certificazioni e autorizzazioni lunga chilometri e in più possono essere certificate solamente alcune tipologie. Va da sé che questo stato di cose crea un grandissimo ingorgo.

C'è un mix  di incompetenza, burocrazia pletorica e incapacità che ha avuto come effetto dirompente quello di avere creato un problema immenso alla popolazione italiana. Le responsabilità vanno ripartite fra tutte le istituzioni. Ci sono Regioni che si son fatte prendere in giro da speculatori, invece di andare dalle aziende tessili italiane e dire loro: producete voi le mascherine per la popolazione. È veramente scandaloso essere imbrigliati in questa burocrazia».

Klopman è stata tra i primi a produrre mascherine oggi in uso, molto apprezzate dai cittadini, soprattutto di Frosinone...
«Noi abbiamo donato mascherine al Comune di Frosinone e ad altri enti. Siamo arrivati a vendere mezzo milione di mascherine che valgono, considerato che possono essere lavate almeno trenta volte, ad avere immesso nel mercato 15 milioni di dispositivi.
Un lavoratore che usa la nostra mascherina può stare tranquillo per 50 giorni, potendola riutilizzare più volte lavandola. Potrà lavorare in sicurezza, mentre, usando altri dispositivi, ogni volta, deve arrangiarsi in qualche modo».

Da questo ingorgo come si esce?
«Il segnale evidente del fallimento nella gestione del problema mascherina è contenuto in un recente comunicato dell'Istituto Superiore di Sanità nel quale, sostanzialmente, si autorizza, chi non deve stare necessariamente a diretto e stretto contatto con i malati di Covid-19, ad utilizzare dispositivi di protezione fai da te.  Basta, quindi, prendere una camicia vecchia, ricavare il tessuto per confezionare la mascherina e, poi, utilizzarla, liberamente, in giro. Mi sembra un'assurdità. Si è passati, in un brevissimo volgere di tempo, dall'imposizione della mascherina chirurgica che viene dalla Cina, e che non si trova in Italia, alla completa libertà di azione. Non si è presa in considerazione la possibilità di dotare la popolazione di mascherine fabbricate con criteri certificati da parte di produttori come noi, ma come tanti altri in Italia, riconosciuti e affidabili. Un fallimento.

Come se ne esce? Non se ne esce. Noi, come Klopman, possiamo garantire la giusta protezione agli italiani con le nostre mascherine. Chi si rivolge a noi sa di utilizzare un prodotto sicuro. Per il resto chi sceglie altre strade deve subire le scelte fatte da una certa pubblica amministrazione».