«Non credo ad una nuova esplosione dei contagi. Il fattore "R0" mescola comportamenti sociali adesso molto disciplinati e comportamenti privati che dobbiamo mantenere disciplinati». E se lo dice lui, c'è da credergli. Lui è il professor Giovanni Rosa, fisico nucleare dell'Università La Sapienza di Roma, già stretto collaboratore di Carlo Rubbia al Cern di Ginevra e al Gran Sasso. Docente, oltre che di Fisica nucleare, anche di Analisi dati alle  facoltà di Fisica e  Biologia. Sessantanove anni, non solo ha origini ciociare, ma è cresciuto ed ha studiato a Sora. Dice: «Sono nato a Villa San Giovanni, in provincia di Reggio Calabria. Ma a Sora ho studiato: mamma calabrese, papà ciociaro. Sono un docente in pensione, associato all'Istituto nazionale di Fisica nucleare.

Cosa c'entra un fisico con il Covid-19? La mia competenza specifica è stata sempre quella della sperimentazione. I dati ci possono dire gli effetti. Ed è quello che faccio: analizzo dati. Poi ho molto seguito questa pandemia perché ne parlo quotidianamente con mio cognato». Il cognato del professor Rosa è il dottor Fulvio Caracciolo, direttore Uoc Anestesia e Rianimazione dell'ospedale Santissima Trinità di Sora.
Spiega il professor Giovanni Rosa: «Fra le tante, ho articolato una previsione, sulla base delle persone ricoverate da febbraio a inizio maggio. I grandi numeri non cambiano nei brevi periodi. Per stimare gli "ancora contagiosi" solitamente si moltiplica per dieci il numero degli attualmente ricoverati. Finora ci ho abbastanza "preso". Per fine giugno i miei calcoli danno 5000 "ancora contagiosi" in tutta Italia, 200 nel Lazio. E una ventina in provincia di Frosinone.

Se e quando ci saranno dati più precisi (ad esempio da una campagna sufficientemente estesa di prelievi per accertare la sieroprevalenza) si potranno fare stime più accurate». Naturalmente i calcoli del professor Rosa sono molto complessi. Gli chiediamo: "Ci sono eventuali possibili stime di come sarebbe andata se non si fosse fatto circolare il virus per oltre un mese in Lombardia e se all'inizio si fossero fatti tamponi a tappeto? Risponde il professor Rosa: «Guardi, la carta d'identità del virus è stata fatta il 7 gennaio. Ma prima di metà gennaio i casi sono stati sporadici. Su questa pandemia si sono sviluppate molte leggende. Tra le quali quella che si poteva fare il tampone a tutti. L'Italia di questi "test" ne ha fatti 2,5 milioni. Come la Germania, come la Spagna, più della Francia. Il punto è questo: se sospettavo di essere venuto in contatto con una persona positiva al Covid, aspettavo il tampone per parametrare i comportamenti? No: magari mi isolavo comunque, a prescindere.

Ma la realtà è che non si era preparati, neppure in Lombardia. Mi riferisco soprattutto ai dispositivi di sicurezza e all'equipaggiamento. Prima del caso di Codogno ci saranno state polmoniti e decessi, ma non erano state collegate al Covid». Che riflessioni si possono fare sui sanitari contagiati? Spiega Rosa: «I casi sono stati 24.000, l'11% del totale. Fino alla prima metà di marzo questo numero è andato a salire, poi ad aprile è sceso. Autorevoli infettivologi confermano alcune conclusioni alle quali noi fisici siamo giunti: all'inizio si sono dovuti mettere in piedi reparti Covid che non c'erano, con personale non addestrato e non protetto. Ci sono stati anche problemi per quanto riguarda l'accesso ai "triage" separati. Tantissimi casi, diciamo così, "sventati".

I sanitari hanno pagato a caro prezzo l'assenza di dispositivi di protezione individuale nella fase iniziale della pandemia. Ma dobbiamo pure sottolineare che l'impatto è stato devastante. Nessuna nazione era preparata». Aggiunge Rosa: «Le scale numeriche "calate" sui territori dicono che ci sono state moltissime situazioni che avrebbero richiesto la "quarantena". E in Lombardia intere maree di malati che sono arrivate nei Pronto Soccorso». Ma adesso che il lockdown è finito, cosa può succedere per quanto riguarda la curva dei contagi? Argomenta il professor Giovanni Rosa: «Allora, il fattore "R0" (la trasmissibilità del virus) in questo momento in Italia è pari mediamente a 0,50.

Vuol dire che occorrono due contagiati per infettarne uno. Il moltiplicatore è influenzato da 4 fattori: quello lavorativo (che comprende anche gli spostamenti), quello sociale, quello privato e quello sanitario. Concentriamoci soprattutto su quest'ultimo: ognuno di noi è la "sentinella" contro il virus se pensa di essere venuto a contatto con un positivo. Ora sento parlare delle 3 T: test, tracciamento, trattamento. Io direi che la sequenza andrebbe invertita. Subito il trattamento, poi il tracciamento e quindi il test. Oggi abbiamo imparato a tenere sotto controllo molti comportamenti. All'inizio era impossibile».