La mascherina non può nascondere il sorriso, i guanti di lattice non riescono a frenare il guizzo della mano. Il ritorno alla normalità si misura dai piccoli gesti delle persone che tornano ad uscire, a passeggiare, a cercare il contatto anche rispettando la distanza. Certamente la ripartenza è graduale. Ma progressiva. Ed è questo che fa la differenza. Aumentano i pendolari che riprendono il treno, crescono i genitori che tengono per mano i figli, i fidanzati che si ritrovano nella complicità degli sguardi. La riapertura dei parchi e dei giardini, seppure contingentata, allarga più di qualche confine importante. Diversi piccoli imprenditori, commercianti e negozianti hanno ripreso, altri si stanno preparando. All'appello mancano ancora troppe attività ed "opzioni". Soprattutto la scuola. Ma i cittadini si stanno riappropriando dei propri spazi. Lampi di quotidianità, sempre più frequenti però. Ma c'è anche chi è rimasto con il freno a mano tirato. La chiamano "sindrome della capanna": ci sono persone alle quali il ritorno alla normalità genera ansia. E pesa naturalmente la paura del contagio. Di tutto questo e anche di più abbiamo parlato con il dottor Fernando Ferrauti, psicanalista e direttore del Dipartimento di Salute Mentale e delle Patologie da Dipendenza della Asl di Frosinone.

Allora dottor Ferrauti, esiste questa "sindrome della capanna"?
«Certo che esiste. Lo vediamo anche noi. Pazienti che in questo mesi sono stati seguiti rimanendo a casa, non intendono tornare alla situazione originaria. Quello che è successo ha elementi di assoluta straordinarietà. Mi riferisco ai 55 giorni di lockdown. Esiste uno stato psicologico che si chiama "sindrome di Stoccolma": nello specifico riguarda la vittima di un sequestro di persona, o comunque una persona detenuta contro la sua volontà, che sviluppa un rapporto di complicità con il suo rapitore. Naturalmente non è questo il caso. Però, estremizzando, si tendono a ritenere valide tutte le ragioni di chi ha deciso di limitare spazi di libertà. E soprattutto si ha paura di uscire a... riveder le stelle».
Che rischi si corrono nella Fase 2?
«Nella Fase 1 il lockdown era giustificato dall'emergenza sanitaria. I risultati ci sono stati, ma è evidente che sono cresciute paure, ansie e angosce delle persone. Ora bisogna lasciarsi alle spalle tutto questo».

E come si fa?
«Intanto gli italiani si sono comportati splendidamente. A parte quattro stupidaggini sanzionate. Ora il messaggio che va fatto passare è quello dell'attenzione, che è cosa diversa dall'angoscia e dalla paura "utile". Perché angoscia e paura possono rallentare il ritorno alla normalità. E possono anche innescare un meccanismo di "deresponsabilizzazione". Individuale e collettiva. Non possiamo permettercelo».
Cosa deve cambiare esattamente?
«Il ritorno alla normalità avviene attraverso il passaggio dalla logica del divieto a quella della responsabilità. Ci sono alcune decisioni che trovo singolari. Se si può prendere un autobus dove ci sono venti persone con mascherine e guanti, perché non si può consentire che le stesse persone possano pranzare in un ristorante che ha spazi maggiori di quelli di un mezzo pubblico? La ricetta è: informazione, responsabilità, regole e fiducia. Mi spiego meglio. Si poteva, anzi si doveva fare in questo modo: riapre tutto, si mantiene la distanza sociale di due metri, si indossano le mascherine e i guanti (specialmente se la distanza non viene rispettata). Invece non abbiamo assistito al passaggio dai divieti alla responsabilità. Aggiungo: il concetto di libertà è sacro e direttamente proporzionale a quello di responsabilità».
Poteva esserci il fraintendimento di un "tana libera tutti"?
«Assolutamente no. Siamo una popolazione consapevole, rispettosa e intelligente. La Fase 2 doveva essere caratterizzata dalla responsabilità nell'autogestione. Si fa ancora in tempo a correggere la rotta. Non si può andare avanti all'infinito solo con i divieti. Perché poi si tende ad esagerare. Basta una mascherina? Allora ne indosso tre».

Quanto è importante il ritorno alla piena normalità?
«È fondamentale, vitale. Mi riferisco alla normalità economica, ma pure a quella della vita sociale. Il benessere personale e psicologico fa parte della normalità. Dobbiamo procedere lungo questa direzione. Il rischio è quello che gli strascichi di questa situazione durino dieci o venti anni. Mi riferisco agli effetti psicologici».
Qual è la priorità?
«Una sola, che comprende tutto però. Vanno aumentati gli spazi di libertà. Tutto deve essere libero nel rispetto delle regole. Da due mesi viviamo esclusivamente nella logica del "senza": senza un abbraccio, senza un bacio, senza una passeggiata, senza la scuola, senza il lavoro, senza lo sport. Basta. La responsabilità sta nel rispettare le regole. Ma è ora di finirla con i divieti. Anche perché ho riscontrato pure situazioni paradossali».
Tipo?
«Si è sviluppata un'altra sindrome, quella dello "sceriffo". Ho constatato casi di persone che, attraverso l'utilizzo di droni, "godevano" per aver scovato il vicino di casa a fare gli asparagi a 500 metri (piuttosto che 200) dalla propria abitazione. Siamo seri. Poche regole (da rispettare), responsabilità e libertà. Occorre soltanto questo. La politica lo tenga presente».

Quanto è importante riprendere ad uscire, passeggiare, andare in bicicletta?
«È fondamentale. Sono convinto che tra qualche mese avremo ripreso la vita normale. Se vogliamo accelerare questo processo, allora dobbiamo cancellare la logica dei divieti e delle punizioni. Una società non può vivere in questo modo. La mia libertà finisce dove può danneggiare quella di un altro: il confine è questo. Ma basta con tutto il resto».
Riprenderemo la vita normale quando si tornerà al rito del caffè?
«Anche. Il rito del caffè è un modo per comunicare. Noi italiani siano creativi, fantasiosi, teniamo alle relazioni affettive. Il contatto fisico è vitale. Così come gesticolare fa parte della comunicazione. La comunicazione può essere verbale, digitale o analogica. Quante volte abbiamo detto: "Sono così felice che non trovo le parole". Oppure: "Ho talmente tanta paura che non riesco a descriverla". Le persone hanno bisogno di sentimenti semplici ma al tempo stesso profondi: un abbraccio, una stretta di mano, un caffè, una cena in pizzeria, una passeggiata. Fa tutto parte di quella comunicazione analogica che in realtà comunica… la vita. Per due mesi siamo stati privati di tutto questo. Era necessario. Adesso non più. Ora ci sono le regole. Che senso ha dire ad un genitore: esci con un solo figlio, il secondo lascialo a casa? Ragazzi, chiamiamo le cose con il loro nome: è un'assurdità».
Magari la cautela è dettata dalla paura del contagio...
«La paura del contagio è comprensibile, ma dovremo conviverci. La fase più critica però è finita. Ci sono evidenze sanitarie. Io non dico che non bisogna stare attenti. Dico che oggi l'attenzione vuol dire rispettare le regole nella responsabilità».

Andiamo incontro alla stagione estiva e vicino c'è il mare, la costa pontina. Suggerimenti?
«Molti. Premessa: il mare rappresenta la libertà, la sensualità e il ricongiungimento con la madre nel momento della nascita. Si tratta di elementi ancestrali, dei quali non possiamo essere privati. Anche qui: andiamo al mare. Rispettando le regole che verranno date. L'estate vuol dire anche… sole. Un altro elemento non sostituibile. Ma lo sappiamo che ai raggi del sole sono legati neurotrasmettitori importanti per la nostra vita? Neurotrasmettitori che danno la possibilità di vivere meglio e di immaginare il futuro? Il sole, il mare, la salsedine sono elementi che fanno parte della vita, che allontanano la depressione. Godiamoci l'estate e il mare: il Circeo è vicinissimo. Facciamolo rispettando le regole e prendendoci la responsabilità anche di farle rispettare».

Che sensazioni trae da questi primi giorni di Fase 2?
«Mi sembra che la voglia di normalità sia fortissima. Certamente c'è molta gradualità. Guardi, è estremamente difficile sia "chiudersi" che "aprirsi". Ma il processo della "chiusura" avviene più rapidamente rispetto alla riapertura. Perciò non dobbiamo sottovalutare i rischi di questa fase. Le relazioni umane sono bellissime e straordinarie e i popoli mediterranei ne hanno bisogno più degli altri. Riprendiamoci la nostra libertà. Con le regole. Ma senza paura. La vita è più forte del virus».