Spazio satira
Pagine di storia
09.06.2025 - 14:00
La chiesa di Santa Maria della Consolazione a Roma
Roma nei secoli passati è stata meta agognata di pellegrini e di visitatori di ogni genere nonché di artisti, pittori e scultori. E a quell’epoca era tutto un altro mondo: di solito i viaggi duravano mesi. E si poneva perciò l’esigenza, una volta arrivati, di una chiesa delle varie comunità, per cui ancora oggi si trova la chiesa dei tedeschi, la chiesa dei portoghesi, dei fiorentini, dei veneziani, dei francesi, degli spagnoli, ma anche dei mestieri e delle professioni, ecc... Poiché notoriamente la presenza ciociara, vale a dire dell’umanità proveniente dai territori a Sud della linea Tevere-Aniene, principalmente dalla Valcomino in Alta Terra di Lavoro, era divenuta nel corso del 1800 una componente stabile e consistente della cittadinanza, era normale che ad un certo momento si iniziasse a sentire la mancanza di un punto di coagulo confessionale per i normali adempimenti spirituali e liturgici quali battesimi, matrimoni e funerali...
In effetti, ad un certo momento della storia, la comunità ciociara a Roma era divenuta per tutti i forestieri e gli stranieri addirittura la vera popolazione di Roma a significarne il ruolo nei vari aspetti della vita cittadina e, aggiungiamo anche, e forse ancora di più, nei gangli dell’amministrazione ecclesiastica, dai livelli più bassi ai più elevati. Certo è che ad un certo momento, all’incirca dal 1850, si può parlare di una vera e propria “ciociarizzazione di Roma”. E perciò la congruità e la validità di tale esigenza spirituale.
Presso le autorità religiose competenti non si è rintracciato alcun tempio cattolico pertinente. Né dai numerosi documenti pittorici è venuta fuori un’indicazione definitiva, pur se non poche di queste opere ritraggono stuoli di ciociari davanti a molte chiese. Quanto rende tale ricerca ancora più irta di difficoltà è il fatto che i poveri ciociari di Roma, dimestichezza vera e propria con penna e libro ne connotavano quasi zero, quindi documenti e lettere o altro non si trovano o non esistono né tanto meno la letteratura dell’epoca si è veramente occupata in qualche modo di tale componente della città: burini, guitti, ciociari, cafoni, che cosa potevano mai offrire di stimolante ed avvincente al cronista dell’epoca?
A Roma, a partire dalle ultime decadi del 1700, erano presenti svariati luoghi di assembramento e di raduno di questa umanità, in massima parte manovalanza agricola, i cosiddetti “bracciali”: piazza Barberini, piazza di Spagna, piazza Farnese e altri ancora.
Il luogo al contrario in un certo senso specializzato per l’offerta di mano d’opera generica e cioè manovalanza e bracciantato specificatamente agricolo, era una grande piazza davanti al Teatro di Marcello, quasi ai piedi del Campidoglio, ai limiti del Ghetto e della Bocca della Verità, oggi scomparsa a seguito delle demolizioni e delle nuove costruzioni mussoliniane: piazza Montanara, così era nota in giro e già il nome è una spiegazione. Un crogiuolo di povera umanità, divenuta la piazza più pittoresca e animata della città.
Non mancavano le chiese nei paraggi, in gran parte ancora presenti ma differenti e diverse ragioni logistiche e anche di tipologia nonché di documentazione disponibile, ci inducono a concentrarci a poche decine di metri dalla piazza, e cioè ai piedi del Campidoglio e della Rupe Tarpea, dove si leva la chiesa di Santa Maria della Consolazione, alquanto in disparte e solitaria rispetto all’animazione in piazza Montanara. Questo antico tempio, affianco al quale si leva una grossa struttura che fino agli anni trenta del Novecento fungeva da ospedale cittadino, aveva la caratteristica di essere divenuta la chiesa dei lavoratori, cioè le corporazioni delle arti e dei mestieri di Roma la elessero a loro luogo sacro di riferimento e infatti progressivamente anche alcune cappelle della chiesa furono dedicate e manutenute dalle varie categorie di lavoratori tra i quali i vignaroli, i pecorai, i garzoni e altre, oltre a divenire, specie a partire dalla fine del 1700, anche esso luogo di raduno e di assoldamento di manodopera.
Altra peculiarità della chiesa era che anche il suo linguaggio iconografico, cioè le immagini sacre presenti erano ridotte a pochi soggetti più volte ripetuti: a parte il ciclo della Passione, erano presenti opere della Natività, della Madonna col Bambinello, del Matrimonio mistico di S. Caterina e naturalmente di Santa Maria della Consolazione, soggetti come si vede che connotano una chiara prossimità e un’attinenza coi sentimenti elementari di quella umanità che, peraltro, di “consolazione” aveva grande bisogno! Ma è documentato un altro fatto che accentua e corrobora tale possibilità: affianco alla chiesa si levava da sempre come detto, l’ospedale della Consolazione. Ebbene, in tale istituzione di miseria e di sofferenza si svolgeva periodicamente un fatto di alta solidarietà: le nobildonne romane vi si recavano e davano ogni tipo di soccorso e di conforto alle ricoverate, che erano tutte ciociare: documenti pittorici dell’epoca di Pio IX illustrano tali atti di umanità.
Detti elementi portano a concludere che questa possa essere stata la chiesa ciociara a Roma. Vi è un quadro di un notevole artista inglese del 1800 Keeley Halswelle (1832-1891) che a Roma dipinse il quadro dal titolo di Santa Maria della Consolazione. Riteniamo in questo modo di aver aggiunto un’altra pagina a quel monumento inimmaginabile che è la storia, in gran parte sconosciuta, della Ciociaria. Un particolare che meriterebbe un pizzico di attenzione: a Parigi alla Rue Jean Goujon 23 si trova la parrocchia italiana gestita dai Padri Scalabriniani che pure è intestata a Nostra Signora della Consolazione.
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