La consapevolezza di poter dare sollievo a chi soffre e rischia di morire per malattie banali, lo porta a indossare il camice anche in terre lontane, del terzo mondo. Di fatto continua a fare la stessa cosa: curare le persone.
Mette a disposizione il suo sapere, le sue mani, il suo impegno per salvare vite umane in paesi dove l'aids, l'ebola, epidemie e tante altre malattie, tra cui anche un morbillo, fanno vittime ogni giorno e orfani numerosi bambini. E il dottor Antonio Bruscoli, chirurgo di Ferentino, non fa mancare neanche la forza, il coraggio, gli abbracci a chi ne ha bisogno. La prima volta che è arrivato in quelle terre è stato il 2003, in Angola. Da allora una decina di missioni. Quest'ultima, in Sierra Leone, durerà due anni. E ce ne saranno altre, fino a che sarà possibile «fino a quando sarò in grado di prendere un aereo».
Cosa è cambiato e se è cambiato qualcosa dai primi viaggi ad oggi...
«L'Africa sta subendo rapidamente la globalizzazione imposta dall'occidente. Le grandi città sono brutte copie delle nostre megalopoli. Ciò che non cambia è la grande forza delle loro millenarie tradizioni».
Cosa spinge il dottor Bruscoli ad andare in Africa?
«È il mio modo di rendere il mondo migliore. Uso i miei talenti e ciò che ho appreso nel tempo per rendere meno dura la vita a popoli che non hanno niente».
Che rapporto si è instaurato con la gente del posto?
«Posso raccontarvi un aneddoto. Ero andato a visitare una famiglia amica per un funerale. Ero l'unico bianco tra tanti ma il capo, l'anziano, nel salutarmi mi ha presentato agli altri come il "Salone bobo" che nella loro lingua significa "il bambino della Sierra Leone". Il complimento più bello che abbia mai ricevuto».
Di cosa si muore in Africa e cosa si può e deve fare ancora?
«Malattie che noi abbiamo dimenticato. Malaria, tubercolosi, tifo, Aids, peritonite. Dall'occidente portiamo sanità, tecnologia e rispetto dei protocolli, ma ciò che non dobbiamo mai dimenticare è che tutto è frutto dell'indigenza. Povertà, fame, analfabetismo. Parole chiave a cui dobbiamo contrapporre impegno per una economia globale più giusta, scuola ed educazione nel rispetto delle loro tradizioni».
Quando tornerà in Italia e cosa porterà con sé?
«Definitivamente quando non sarò più in grado di prendere un aereo. Fino a che potrò andrò avanti e indietro e porto sempre con me la loro grande forza interiore che li fa sopravvivere a tutto».
Cosa lascerà?
«Saranno loro a dirlo. Spero la testimonianza di un impegno. La voglia di lottare sempre e comunque per un mondo migliore».
Ci sono persone, soprattutto giovani, che fuggono dalla guerra e dalla fame e arrivano in Italia. Tanti anche qui in Ciociaria. Qual è il suo pensiero al riguardo?
«Nel corso degli anni ho avuto la fortuna di seguire questi viaggi della speranza. Ho visto dove vivono e da cosa fuggono, li ho intercettati in mare avendo lavorato a Lampedusa, ho visto il loro nuovo mondo, i lager di Foggia e Rosarno. Il nostro fortunato occidente si avvita su se stesso per fermare flussi migratori inarrestabili che esistono da sempre. Chi lavora seriamente nel settore, di qualunque idea sia, sa che accogliere con dignità ed organizzazione è l'unica soluzione. Conosco bene i ciociari per essere uno di loro. Per molti versi, tradizioni e temperamento, assomigliano ai miei africani e so per certo che la loro naturale predisposizione alla condivisione potrà risolvere ogni problema di convivenza. Nel ricordo e nella memoria dei tanti ciociari morti nelle miniere di carbone del Belgio e lungo i binari tra New York e Filadelfia».
Il suo ultimo libro di cosa parla?
«L'ultimo, "Na Debul" uscito un anno fa, è un romanzo d'avventura ambientato completamente qui in Sierra Leone. Un tributo a questa terra meravigliosa e alla sua gente. Il prossimo uscirà a dicembre, presentato a Roma a "Più libri più liberi" e distribuito in tutta Italia. Prodotto da Emergency ed edito dalla casa editrice Tunuè, è una raccolta di quattro grafic novels, fumetti, due scritti da me e due da Mario Spallino e sceneggiati e disegnati dal geniale gruppo di artisti della Tunuè. I miei episodi cercano di spiegare ai nostri fortunati bambini occidentali cosa siano la fame e la guerra. Sempre per un mondo più giusto, migliore».
Il dottor Bruscoli si è laureato alla Sapienza di Roma, chirurgo da trent'anni, ha lavorato in diversi ospedali della provincia di Frosinone e ha compiuto missioni umanitarie in Italia ed all'estero per Emergency, in Angola, Sierra Leone, Repubblica Centrafricana.