Non sempre tra i dipendenti di un Comune ci sono tutti i profili professionali che servono, specie per le necessità straordinarie. In questi casi, l’ente municipale può affidare l’incarico ad un professionista esterno. Da diverso tempo, il tema si è imposto all’attenzione dell’opinione pubblica e della politica a causa di alcuni abusi nell’uso delle consulenze ed incarichi esterni, sanzionati, spesse volte, anche dalla Corte dei Conti.
Secondo quanto disposto dal Testo unico degli enti locali, all’articolo 110, comma 6, è scritto che: per obiettivi determinati e con convenzioni a termine, il regolamento può prevedere collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità. Il testo unico sul pubblico impiego è ancora più stringente. L’articolo 7, infatti, fissa una serie di criteri piuttosto rigidi: l’amministrazione si può rivolgere all’esterno solo per attività legate alle sue competenze dirette, come determinate dall’ordinamento; deve aver accertato l’oggettiva impossibilità di affidare l’incarico ai dipendenti interni all’ente; deve stabilire preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione; la prestazione è temporanea e non rinnovabile; anche in caso di proroghe eccezionali il compenso resta quello già pattuito.
Secondo un recente pronunciamento della Corte dei Conti (sezione della Basilicata, sentenza numero 36/2015), se mancano questi presupposti di legge l’affidamento di incarichi esterni può costituire danno erariale. Non è raro leggere nelle cronache locali, e talvolta nazionali, di polemiche e accuse sull’utilizzo delle consulenze. Per avere una dimensione globale del fenomeno e verificare quanto spendono annualmente i comuni italiani alla voce “incarichi professionali esterni”, è possibile consultare la piattaforma Openbilanci, che ha esaminato i documenti contabili del 2014 (l’ultimo disponibile in forma completa) di 7.745 amministrazioni comunali .
Nell’annualità presa in considerazione, il Comune che ha sborsato più di tutti per consulenti e incarichi esterni è stato Reino, in provincia di Benevento, che ha speso, sul bilancio 2014, 697 euro a residente. Al secondo posto si colloca Groscavallo (Torino) con 644,89 euro, mentre sul gradino più basso di un ideale podio si piazza Spriana (Sondrio) con 591,74 euro.
Restringendo il campo alla regione Lazio è Saracinesco, in provincia di Roma, ad aver speso più di tutti, sul bilancio 2014, per consulenze con 305,55 euro. Seguono Concerviano (Rieti) con 173,45 euro e Casperia (Rieti) con 148,19 euro. Tra i capoluoghi è Viterbo quello ad aver speso di più (89º nella classifica regionale con 2,07 euro ad abitante). Poco più distante Roma (104ª con 1,54 euro a residente), tallonata da Latina (106ª con 1,43). Rieti si piazza 140ª con 0,31, mentre ultimo in graduatoria tra i capoluoghi, ma anche tra i 360 Comuni del Lazio, è Frosinone che nel bilancio 2014 alla voce consulenze ed incarichi esterni ha iscritto cifre pari a zero.
Nella top ten regionale figurano due centri della provincia di Frosinone tra quelli che han- no speso maggiormente per le consulenze e sono: Ferentino (4º con 86,50 euro ad abitante) e Morolo (7º con 63,21 euro a residente). Nelle prime trenta posizioni assolute si posizionano anche Coreno Ausonio (14º con 24,48 euro), Fiuggi (15º con 24,48 euro) e Acuto (26º con 12.12 euro). Passando in rassegna i grandi centri della provincia di Frosinone, Ceprano si piazza al 33º posto con 8,27 euro; Veroli è 68º con 3,51 euro, Isola del Liri 108º con 1,32 euro, Pontecorvo 144º con 0,19 euro, Ceccano 148º con 0,05 euro, Sora 149º con 0,05 euro. Chiudono Cassino, Anagni e Alatri, e come già detto il capoluogo, con 0 euro spesi per abitante per consulenze ed incarichi esterni.