Quale è stato l'impatto del Covid-19 sugli immigrati residenti in Italia? Quali effetti sulle fasce più povere, sull'occupazione, la scuola, la salute? Quali sono i numeri reali di quella che viene percepita come una "invasione" ma che in realtà, leggendo le cifre, ci si accorge che così non è? Sono tante le risposte contenute nel XXIV Rapporto Immigrazione 2020 di Caritas italiana e Fondazione Migrantes, intitolato "Conoscere per comprendere".

Un volume corposo che, come ogni anno, affronta a 360 gradi i vari aspetti della vita di 5.306.548 persone che risiedono da tempo in Italia, l'8,8% della popolazione. Un trend per decenni in crescita e ora invece in diminuzione. Dal 2018 al 2019 vi sono stati appena 47.000 residenti e 2.500 titolari di permesso di soggiorno in più, insieme ad un calo delle nascite di figli di immigrati, da 67.933 nel 2017 a 62.944 nel 2019.
Scendono anche le acquisizioni di cittadinanza, da 146.000 nel 2017 a 127.000 del 2019.

Appena il 5,7% i permessi collegati all'asilo e alla protezione internazionale, solo l'1,5% quelli per studio.
Durante i tre mesi di lockdown la Caritas ha aiutato, in diverse forme, 445.585 persone, una cifra altissima che supera la media annua di circa 200 mila individui. Gli stranieri erano il 38,4%. Anche tra i 129.434 "nuovi poveri" che si sono rivolti alla Caritas nello stesso periodo, gli stranieri erano il 32,9%.

L'impatto del Covid e della didattica a distanza è stato però forte, perché i bambini stranieri non ricevono aiuto dai familiari "per scarsa competenza informatica e difficoltà linguistiche". Un nuovo anno di didattica mista e distanza potrebbe allargare "ancora di più le disuguaglianze tra alunni stranieri e italiani". Tra le famiglie più in difficoltà quelle di nazionalità bengalese e pakistana.

Il provvedimento di regolarizzazione varato dal governo durante il lockdown per fare fronte alla mancanza di manodopera straniera ha consentito la presentazione di "appena" 207.542 domande, in particolare per lavoro domestico (85% del totale) e il resto per gli altri settori, soprattutto agricoltura. In Italia sono 2.505.000 i lavoratori stranieri, che rappresentano il 10,7% degli occupati totali. L'87% degli occupati stranieri sono lavoratori dipendenti.

In Ciociaria
«La situazione della provincia di Frosinone non si discosta molto dal quadro generale». A descrivere lo stato dell'arte è Marco Toti, responsabile della Caritas diocesana di Frosinone. Al 31 dicembre del 2019, gli stranieri residenti nel nostro territorio sono 26.403.
Tra questi spiccano, in termini di presenza, le comunità dell'est europeo. La più consistente è quella rumena con 8.931 persone, a seguire gli albanesi (3.392), gli ucraini (1.079, in prevalenza donne), polacchi (531 con una forte rappresentanza femminile), bulgari (454) e moldavi (294).

Si registrano, poi, importanti rappresentanze delle popolazioni magrebine come marocchini (2.277) e tunisini(150) cui si aggiungono 437 egiziani in prevalenza uomini. Un dato quest'ultimo che va letto alla luce di una forte richiesta di manovalanza nel settore delle attività di vendita ortofrutticole e degli autolavaggi, mentre sono diversi gli adolescenti che partono dall'Egitto per andare a finire in case d'accoglienza alla ricerca, probabilmente, di condizioni di vita migliori rispetto a quelle della terra d'origine.

Negli ultimi tempi, il quadro delle tipologie di immigrazioni si è arricchito con quelle legate ai progetti Sprar o ad altre forme di accoglienza programmata per cui si registrano presenze di nigeriani (1.127 di cui il 30% donne), maliani (335 di cui 326 uomini), gambiani (299), senegalesi (262 di cui 260 uomini), ghanesi (252 in maggioranza maschi) e ivoriani (218).

Ultimamente forte è anche l'immigrazione dalla Libia.
In lenta ma costante crescita la comunità cinese arrivata a 1.030 unità. Il panorama è arricchito, poi, da 518 persone provenienti dal Bangladesh, 432 dall'India e 474 dal Pakistan. Particolare e curioso il dato che vuole la presenza in Ciociaria di 298 brasiliani tra oriundi e nativi d'origine dell'ex colonia portoghese.

«I flussi migratori si prestano a letture differenziate  - ha detto Marco Toti - Se pensiamo alle popolazioni dell'est europeo, parliamo di persone, nuclei familiari interi integrati con il contesto sociale ed economico e non ghettizzati, come, ad esempio, accade in altri territori vicini a noi dove esistono comunità straniere che tendono ad isolarsi dal resto della realtà sociale, andando a costituire dei piccoli microcosmi quasi avulsi dal contesto. Poi, registriamo la presenza di quegli stranieri, per così dire quasi di passaggio, che, nel loro progetto migratorio sono in attesa di una definizione burocratica, amministrativa della propria posizione per poi, magari, spostarsi altrove ed è la ragione per cui in alcune comunità troviamo solamente rappresentanti di sesso maschile. In ultimo c'è da registrare il fenomeno della diminuzione degli albanesi. Dopo anni di forte immigrazione, adesso in tanti stanno facendo ritorno nella madrepatria dopo essere riusciti a mettere qualcosa da parte dopo anni di lavoro in Italia.
Il Covid-19 ha colpito indifferentemente italiani e stranieri e a tutti abbiamo offerto assistenza.
Certamente gli stranieri sono apparsi più esposti dal punto di vista sociale ed economico».