Uno dei settori più colpiti dalla pandemia è stato sicuramente quello dei concerti. Per molti questi si limitano a un artista che sale sul palco per esibirsi davanti a un pubblico, ma dietro ogni evento dal vivo c'è invece una grossa macchina organizzativa che vede coinvolti promoter, tecnici vari, uffici stampa e service, tanto per citare alcune delle figure fondamentali alla sua realizzazione.

Molti dei concerti previsti per questa stagione sono stati annullati uno dopo l'altro o rinviati al prossimo anno, causando non pochi problemi per chi dedica il suo tempo a organizzarli. Con l'ultimo decreto qualcosa è stato finalmente deciso sia per aiutare i numerosi lavoratori del settore, sia per cercare di salvare un po' questa stagione.

Di tutto questo abbiamo parlato con Sebastiano Pullo, originario di Ripi e titolare di Pool Music (poolmusic.it), società con la quale è il promoter esclusivo di vari artisti per Lazio e Umbria, da Loredana Bertè a Le Vibrazioni, passando per Ornella Vanoni, Edoardo Bennato, i Tiromancino e molti altri.

Tutto il mondo dello spettacolo è stato colpito dal coronavirus e dal susseguente confinamento.
Cos'ha comportato questo per voi, oltre ovviamente alle grosse perdite economiche?
«Il mondo dello spettacolo è stato completamente fermo. Sono saltati tutti i concerti subito a ridosso dell'inizio della pandemia, come ovviamente quelli durante il lockdown. In queste settimane molti promoter aspettavano disposizioni per capire cosa ne sarebbe stato delle manifestazioni previste per i mesi estivi.
Adesso, dopo l'ultimo decreto, è arrivatala conferma che le grosse produzioni sono tutte rinviate all'anno prossimo. Se ne riparla quindi nel 2021».

Il decreto lascia qualche porta aperta per gli eventi, anche se con restrizioni ben precise…
«Sì, ha dato qualche possibilità come quella di organizzare degli eventi a partire dal 15 giugno, fino a una capienza di 200 persone per quelli al chiuso e di 1.000 se si svolgono all'aperto. Si riparte quindi da una dimensione medio-piccola, consapevoli che con solo mille posti a sedere non è pensabile fare grosse produzioni, come ad esempio Loredana Bertè, né i grossi eventi estivi. Però, a livello medio-piccolo, ci si può pensare perché si verranno a creare delle situazioni quasi "teatrali" all'aperto e unplugged, questo anche per contenere i costi. Se hai una capienza massima di 700 o 1.000 posti, non puoi pensare che un Comune o una Pro loco possa spendere 30 o 40.000 euro per un artista, sapendo che poi sono da aggiungere anche i costi di palco, elettricità, sedie, Siae… A questo punto bisogna pensare a un service più a misura che non a una mega produzione. Non è impossibile e infatti sto cercando di lavorare anche con altri artisti per un discorso di questo tipo e venire incontro ai nostri interlocutori, che sono appunto i Comuni o le Pro Loco, con dei nomi comunque importanti a una cifra contenuta. Fermo restando che, oltre a rispettare il numero di posti a sedere, bisognerà comunque prevedere mascherine e distanza di sicurezza. Per un teatro questo significa una riduzione del 65% della capienza, vuol dire un posto sì e due no, per un massimo di duecento».

Considerando che i teatri e i locali chiudono d'estate, quello che succederà dal 15 giugno in avanti potrebbe trasformarsi in una fase di preparazione a una possibile stagione che inizia in autunno?
«Sì, sperando che le cose vadano bene e che si possano allentare un po'le misure per avere la possibilità di aumentare la capienza, passare magari da "una sedie sì e due no" a "una sì e una no". Io penso che il grosso del lavoro di questa estate si farà su iniziativa dei comuni e delle Pro loco che, con contributi regionali e fondi propri, faranno qualcosa per aiutare l'economia locale, quella dei nostri paesi, quindi dei bar, delle pizzerie, delle gelaterie e di tutte quelle attività che ricevono un beneficio dalle manifestazioni e dagli eventi».

Le perdite del settore resteranno comunque enormi.
Hai un'idea del loro ammontare?
«È sicuramente una cifra ingente, è ancora presto per fare dei conti esatti. Sono perdite che non riguardano solo l'evento in sé ma tutta l'economia del live, dei concerti come delle feste di piazza. Ci tengo molto a sottolineare questo, non è solo un discorso che riguarda la filiera diretta della musica dal vivo, quindi musicisti, service, tecnici…ma è anche tutto il Pil che queste attività portano al territorio: dall'autostrada al carburante, fino al panino che mangi, c'è tutto un prodotto che cresce attorno all'evento. Vale anche per la festa di piazza dove, oltre a musicisti e tecnici, ci sono le bancarelle, le luminarie, i fuochi d'artificio, ovvero attività economiche del territorio».

Tutto questo cozza con un punto del decreto che vieta cibo e bevande durante gli eventi…
«Cito sempre questo esempio di Giuliano Di Roma.
Quattro o cinque anni fa era rimasto un solo bar nel paese. Lo scorso anno vado per un evento e vedo molti nuovi bar sulla piazza, tutti aperti e funzionanti.
Chiedo spiegazione al sindaco e lui mi risponde che è merito delle piccole attività estive. Non stiamo parlando di grossi concerti ma di piccoli spettacoli che vengono fatti in maniera costante quasi tutte le sere. Con quanto incassato nei due mesi estivi, questi bar vanno avanti tutto l'anno. Il fatto di fare eventi, anche piccoli, crea sempre un movimento e muove l'economia di un paese».

E i "concerti drive-in?
«Non ci ho mai creduto. Dal punto di vista artistico non è proprio la stessa cosa esibirsi davanti a una distesa di ferro. Ma anche per quanto riguarda i costi non ci siamo. Devi prendere un artista importante altrimenti la gente non viene, hai costi di allestimenti maggiori per un'utenza comunque limitata. Per mettere insieme 1.000 persone ci vogliono almeno 500 macchine che vanno a riempire un campo sportivo. Non c'è proprio rapporto tra investimento, spesa e utenza.
Il drive-in l'ho visto come una boutade e nulla più.
Quale Comune spende 50.000 euro per far divertire poche persone? È impensabile».

L'ultimo decreto ha parlato anche dei voucher. Cosa ne pensi?
«È un discorso che riguarda soprattutto i grandi concerti. Da una parte è giusto perché l'evento viene rinviato per cause di forza maggiore, ma se poi non viene ripetuto ho delle perplessità sul fatto che uno non possa riavere i suoi soldi indietro e debba prendersi un voucher. Se il grosso nome internazionale non viene più quest'an no e neppure l'anno prossimo, non puoi costringermi a spendere quei 50, 60 o 70 euro per andare a un altro concerto. Il discorso dei voucher non fa invece una piega per le produzioni italiane che comunque ci saranno anche tra un anno».

Cos'ha fatto un promoter durante questa quarantena?
«Io ho fatto il contadino...».