L’11 aprile del 2008, tre giorni dopo essere stato ascoltato in Procura sull’uccisione di Serena Mollicone e aver fornito dettagli importanti sulla presenza della ragazza presso la caserma dei carabinieri di Arce nel giorno della sua scomparsa, Santino Tuzi, brigadiere dei carabinieri in servizio presso lo stesso comando, si tolse la vita sparandosi al cuore con la Beretta d’ordinanza. Lì per lì la Procura di Cassino non credette all’ipotesi della morte volontaria e aprì un fascicolo ipotizzando il reato di omicidio che, però, nel giro di un anno, venne derubricato a istigazione al suicidio e quindi archiviato come suicidio d’amore. Si trattò davvero di un suicidio? E ammesso che Tuzi si sia tolto la vita, davvero lo fece per motivi sentimentali?   Le indagini al tempo vennero condotte in maniera sbrigativa, lasciando sul campo tantissimi punti oscuri. Quelli che ora emergono nella controinchiesta condotta dal pool difensivo a cui si è affidata Maria Tuzi, la figlia del brigadiere, composto dall'avvocato Rosangela Coluzzi e dalla criminologa Sara Cordella. Un lavoro che entro questa primavera porterà alla presentazione di una richiesta di riapertura delle indagini. Partiamo allora dall’inizio, dalle prime ore che precedettero la tragedia avvenuta tra le 12.55 e le 13.05 presso la diga dell’Enel di Arce, in località Campo Stefano.

Una chiamata misteriosa

Quel giorno Santino Tuzi era di riposo. Di primo mattino si era messo a lavorare all’orto quando ricevette una telefonata che, improvvisamente, sembrò stravolgere i suoi piani. Terminata la chiamata, Santino disse ai suoi familiari che doveva uscire urgentemente. Chi chiamò Tuzi? Questa domanda rimarrà senza risposta e la ragione di questo dato mancante mette in luce la prima stranezza. È noto, infatti, anche ai non addetti ai lavori, che tutte le indagini su una morte che si presume violenta o comunque dai contorni poco chiari hanno sempre come punto d’inizio i telefoni. La Procura di Cassino, invece, non ritenne utile analizzare il traffico telefonico non di uno ma dei due cellulari in uso al brigadiere. Già, due cellulari.

Tuzi intercettato

Il secondo cellulare Tuzi lo mise in funzione proprio quella mattina. Uscito di casa dopo aver ricevuto la telefonata,  Santino si recò presso un centro Vodafone di Sora dove acquistò una nuova scheda. Perché? C’è un’ipotesi: il brigadiere aveva saputo che anche il suo telefono, come quello dei colleghi, era intercettato nell'ambito dell'indagine sull'omicidio Mollicone. Negli atti d'inchiesta sulla morte di Tuzi, però, non c’è traccia delle eventuali telefonate che quel giorno potrebbero essere state intercettate. Non solo. La Procura non ritenne utile acquisire nemmeno i tabulati della scheda attivata quel giorno e con cui, probabilmente, il brigadiere effettuò tutte le chiamate. Questo secondo telefono, addirittura, non è stato nemmeno repertato come elemento di prova.

Dati ormai inaccessibili

Sapere cosa nascondano quei tabulati ormai è impossibile. L’avvocato Coluzzi, nei mesi scorsi, ha chiesto alla Vodafone di fornire i tabulati dell’11 aprile 2008 ma ha ricevuto risposta negativa perché sono trascorsi i tempi di legge per accedere a quel tipo di informazioni. Un peccato, davvero un peccato che nel corso delle indagini si sia trascurato il dettaglio dei cellulari.

Il mistero dello sparo custodito in una chiamata

Anche perché nei telefoni è custodita la prova “regina”: quello dello sparo. Soltanto l’esame della nuova scheda o di quella vecchia, peraltro intercettata avrebbe potuto indicare l’ora esatta in cui Tuzi si sparò, tra le 12.55 e le 13.05 di quell’11 aprile 2008, se è vero che l’ex amante, come ha raccontato lei stessa, sentì un colpo di pistola dopo che il brigadiere le disse «addio». L’ex amante, sia pure attraverso il telefono, è l’unica testimone dello sparo. Nessuna delle persone - almeno cinque - che si trovavano nei pressi della diga di Arce sentì l’esplosione. Ma questo è un altro mistero della morte di Tuzi. (1.continua)

 

 

 

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