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L'intervista

Franco Turriziani, vita da cronista. Un pezzo di storia del giornalismo

«Il pezzo che mai avrei voluto scrivere? Quello su Domenico Tiberia. La storia del Frosinone ha avuto una svolta con l’avvento di Stirpe»

Liceo Classico “Conti Gentili” di Alatri, anno 1955: insegnanti illustri come Mantovani, Barlozzini, Sarandrea. E tra i maturandi il frusinate Franco Turriziani, 19 anni e un mondo da scoprire, perché a quell’età c’è sempre un mondo da scoprire e magari da raccontare… «Mi piaceva in particolare il latino, ma anche storia e filosofia erano materie che studiavo con passione. Lì ad Alatri avevamo anche una squadra di calcio studentesca ed io mi disimpegnavo piuttosto bene, sebbene lo sport da me praticato a livello agonistico sia stato, qualche tempo dopo, il basket».

Ci racconti questa tua esperienza con la palla a spicchi?

«Ho giocato prima con la Fiamma Frosinone e poi con la Virtus Frusino dei fratelli Carè. Ricordo che sul nostro campo all’aperto a Frosinone anche squadre blasonate soffrivano. Ricordo altresì che curavamo in modo particolare il contropiede: io ero molto veloce, un’ala rapida e in transizione mi trovavo particolarmente bene».

Studi classici, predisposizione per lo sport, ma poi esplode la tua vera passione, che è quella di scrivere, raccontare. Come diventi giornalista?
«Ti rispondo con un nome e un cognome: Gianluca De Luca. Era un mio amico e fu lui a trascinarmi nel mondo dell’informazione locale. Quando iniziai a frequentare la redazione ciociara de “Il Tempo” con noi due c’erano Lello Maietta, Giulio Rotili e Plinio Bartolomucci. I pc non c’erano, si scriveva con le macchine Olivetti e rispetto a quella odierna era tutta un’altra professione».

La giornata tipo in redazione?
«Tutto il lavoro che facevamo fino alle 18 si chiamava nel gergo “fuori sacco”: veniva messo in una busta e consegnato all’autista, che avrebbe portato il tutto a Castro Pretorio a un commesso romano. Poi iniziava la seconda parte della giornata, con i giri di cronaca: Mobile, Carabinieri, ospedali e se c’era una notizia importante l’ulteriore materiale veniva consegnato al capotreno o in alternativa portato in macchina a Roma. Alle 21.15 c’era “la fissa”: venivano dettati i pezzi alla redazione centrale e chi li prendeva telefonicamente di regola era molto preparato, in grado di scorgere ogni genere d’imperfezione».

Non c’era la rete, e perciò le notizie si prendevano in strada e attraverso conoscenze che il tempo cementava?
«Certamente. Quello era un giornalismo ancora legato alla capacità di scorgere l’affidabilità e la correttezza di un informatore. Ci mettevamo tanto impegno e “i buchi” con i colleghi del Messaggero si davano e si prendevano. C’erano alla base un rispetto reciproco e un senso nemmeno vago di solidarietà».

Quando accadeva un fatto di cronaca come si muoveva in concreto il corpo redazionale?
«Sovente accadeva che, in campagna o in località comunque non supportate da linee telefoniche vicine, si passassero ore intere senza poter comunicare con la redazione. Figura centrale era il fotografo: Salvatore ed Edoardo Palmesi e Tonino Casinelli erano i reporter che davvero rivestivano enorme importanza, perché documentare un evento con foto in quella fase storica era essenziale».

Al punto che talvolta arrivavate prima delle forze dell’ordine?
«Proprio così. Ricordo che una volta il sostituto procuratore Edoardo Fazioli, avendoci trovato sul luogo di un sinistro, sbottò: “Ma si può sapere come fate ad arrivare prima di noi?”. Ed io di rimando: “Dottore, siamo costretti a farlo, perché quando arrivate voi poi non ci consentite più di scattare foto”. Era questo il giornalismo degli anni 70, prima della rete e dei cellulari».

Quale fatto di cronaca ricordi in particolare?
«Il fatto di cronaca più importante fu quello dell’omicidio del procuratore capo Fedele Calvosa, a Patrica, l’8 novembre del ’78. Ricordo che persero la vita l’agente della scorta Giuseppe Pagliei e l’autista Luciano Rossi. Inoltre cadde, vittima del fuoco amico, Roberto Capone, uno dei terroristi delle Formazioni Comuniste Combattenti, che rivendicarono l’attentato lasciando un biglietto proprio davanti alla nostra redazione, inserendolo in una colonnina davanti alla pizzeria Trento».

Oltre alla cronaca, per “Il Tempo” hai sempre seguito gli eventi sportivi e segnatamente quelli del Frosinone Calcio. Ci racconti un episodio significativo?
«Il primo che mi viene in mente riguarda Radio Frosinone e risale al 1980, in occasione di una gara che i “canarini” dovevano disputare a Isili, a 70 chilometri da Cagliari. Con il collega Mariano Monforte, un valido dirigente scolastico e uomo con un bagaglio ben fornito di valori morali, avevamo contattato la dirigenza del club per chiedere come potessimo svolgere la radiocronaca, visto che il punto telefonico distava oltre 700 metri dal campo di gioco. Risposero che avrebbero provveduto loro a tutto e quando giungemmo in Sardegna ricevemmo un’accoglienza davvero incredibile. Non ci mettemmo molto a capire che i dirigenti dell’Isili ritenevano in verità di essersi messi a disposizione… della Rai. Devo dire però, ad onor del vero, che anche quando l’equivoco fu chiarito i nostri amici sardi mantennero una squisita ospitalità. Per la cronaca quella partita la vinse il Frosinone, per 1-0, con gol di Raniero Pellegrini».

C’è stato però anche qualche campo particolarmente caldo in cui avete vissuto momenti di paura?
«Sì, a Grosseto nell’82, in una partita che i toscani sbloccarono nel finale, ci fu proprio all’89’ il pareggio di Davato e con il collega Gigi Longo, che commentava per Telefrosinone e Ctr, dopo la nostra legittima ma poco opportuna esultanza, fummo salvati da Braglia, ex giocatore del Frosinone, che fu bravo a portarci fuori dalla mischia e ad evitarci momenti spiacevoli».

Quali altri incontri si sono ritagliati uno spazio speciale nella galleria dei tuoi ricordi?
«Potrei davvero citarne tanti, ma mi limito a ricordare il match all’Acquedotto di Sassari, contro la Torres, nell’ambito del campionato ’80-81. Finì 0-0 e andammo in C2 da imbattuti, con una difesa ermetica che in tutto l’anno subì solo 11 gol. Primi i sardi e secondi noi. Poi ricordo un match molto turbolento contro il Siena, nell’aprile dell’82. Anche in quel caso la gara finì 0-0, ma ci furono scontri tra le tifoserie prima del fischio iniziale e l’ubicazione del campo senese favorì quel pomeriggio movimentato».

Facciamo un salto e veniamo al gennaio 1988 e alla nascita del primo quotidiano locale, “Ciociaria Oggi”. Nella squadra voluta dall’imprenditore Giuseppe Ciarrapico ci sei anche tu…
«Ricordo benissimo i primi giorni di questo quotidiano, quando con i colleghi andavamo alla tipografia di Villa Santa Lucia ad aspettare che la rotativa sfornasse le copie. Si lavorava dal mattino alla notte in quei giorni iniziali, era un giornale che sentivamo nostro. La redazione è una famiglia allargata: vivi costantemente vicino a facce che diventano familiari, a voci che impari a memoria, a frasi, tic, piccoli riti quotidiani che entrano a far parte di te, in modo indissolubile. Al mio fianco c’erano anche alcuni compagni di percorso de “Il Tempo”, come Umberto Celani, che nella fase iniziale era caporedattore, mentre i direttori erano Brunori e Checchi».

Nel gennaio del 1989 accadde un fatto di cronaca che mai avresti voluto raccontare...
«Mi tornano ancora in mente le immagini di quella terribile notte. Ci giunse notizia di un incidente particolarmente grave avvenuto proprio al termine della superstrada, all’altezza di Veroli. Umberto Celani restò in redazione ed io raggiunsi l’ospedale Umberto I di Frosinone, dove giacevano le due vittime di quel drammatico incidente. Quando entrai nella stanza dove erano adagiati i corpi esanimi riconobbi subito Domenico Tiberia, il grande campione di pugilato. Lui e un suo caro amico tornavano da una serata di festa a Isola del Lliri e purtroppo avevano incontrato un destino atroce. Mentre scrivevo il pezzo ero molto turbato, c’era tanta gente che sotto la redazione ci chiedeva conferma di quella terribile notizia e la notte non dormii. Conoscevo Domenico, un grande campione e una gran bella persona. Fu uno shock».

Dal 1994 torni a redigere le pagine sportive e per oltre 10 anni ci dividiamo onori e oneri di questo compito. Cosa ti viene in mente?
«Che prendevi sempre il giorno di corta al giovedì e non ho ancora capito cosa mai dovessi fare. Scherzo, dai. Ricordo che il Sora disputò alcuni campionati di C1 mentre il Frosinone era in C2, che alcune nostre squadre di sport diversi dal calcio raggiunsero importanti risultati e poi non potrei certo dimenticare quelle domeniche con più di 20 pagine dell’inserto sportivo, con tutti i risultati e i resoconti delle categorie minori, fino alla terza. Avevamo un piccolo esercito di collaboratori a supportarci nello sforzo. L’edizione del lunedì si era resa necessaria perché nel frattempo era nata “La Provincia” e non potevamo lasciarla sola in edicola».

Seguono le esperienze al “Quotidiano”, a “Il Nuovogiorno”, poi di nuovo a “Ciociaria Oggi” ma dal 2014 diventi anche l’anima di “Frosinone 1928”, di Tonino Casinelli. Il filo conduttore si chiama Frosinone Calcio, perché quella fra te e la squadra giallazzurra è una bella storia d’amore. Che si fa più intrigante da quando alla guida del club arriva Maurizio Stirpe...
«Stirpe ha cambiato la storia del club, dandogli palcoscenici che non avremmo nemmeno osato immaginare. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: 3 campionati di A e 14 di B, una dimensione incredibile, frutto di una programmazione e di una capacità gestionale straordinarie».

E momenti in cui il Frosinone viene additato a modello virtuoso per gli altri club del nostro calcio. Ce li ricordi?
«Credo di poter fissare un momento ben preciso per evidenziare la lungimiranza del presidente Stirpe. Mi riferisco al 16 maggio 2015, giorno più importante della storia del Frosinone, che ha appena battuto il Crotone e si è così aggiunto al Carpi tra le promosse dirette. Mentre la città festeggia, impazzita di gioia, il presidente negli spogliatoi si sta già interrogando sulle priorità. Investire su una squadra che possa salvarsi in massima serie o sullo stadio? Confortato dall’allora sindaco Ottaviani scelse di indirizzare le risorse su quest’ultimo obiettivo, per regalare alla città qualcosa che potesse restare nel tempo. E non sbagliò. L’inserimento dello stadio Stirpe al 19° posto della classifica Stadium Of The Year 2019 forse non è stato sufficientemente propagandato, ma è un riconoscimento che deve inorgoglirci e che illustra da solo l’importanza di quella scelta».

C’è stato poi un momento un po’ particolare però, in cui un po’ il progetto è sembrato vacillare?
«Come dice Maurizio Stirpe è sbagliato parlare di fallimenti in relazione a un risultato sportivo. Ad un insuccesso, che sia una mancata promozione o una retrocessione, si può sempre porre rimedio. Il fallimento è quando un club implode, quando non sa più quale strada imboccare per andare avanti ed è quello che va scongiurato. All’indomani della promozione sfiorata nella doppia finale play-off con lo Spezia, i conti del Frosinone erano un po’ preoccupanti, perché il monte ingaggi era importante e il criterio della sostenibilità non del tutto rispettato. L’arrivo di Angelozzi è stato un toccasana e grazie all’abilità di questo manager abbiamo ritrovato stabilità e il tutto non certo a scapito dei risultati, visto che si è rivinto persino un terzo campionato di B».

Esempio virtuoso anche in occasione delle retrocessioni?
«Gli applausi della curva alla squadra dopo la sconfitta con il Sassuolo che costò la prima retrocessione fecero il giro d’Europa, ma anche in occasione dell’ultima caduta in B, peraltro rocambolesca e ingiusta, il presidente Stirpe si presentò ai microfoni e disse: “Se ci fossimo salvati il merito sarebbe stato dei ragazzi, ma visto che siamo retrocessi le colpe me le assumo tutte io. Evidentemente ci è mancato qualcosa, sebbene oggi non meritassimo certo di perdere questa gara con l’Udinese”. Questo ci inorgoglisce più di qualsiasi vittoria». E noi siamo orgogliosi di aver raccontato un po’ di Franco, uomo generoso e collega esemplare. Lo spazio è tiranno, ma un pizzico di storia di un cronista perbene ve l’abbiamo regalato.

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