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Evase dal carcere: condannato

Insieme a un albanese, rimasto ferito durante il tentativo, Alessandro Menditti era scappato da via Cerreto

Aveva nostalgia di casa e voleva rivedere i suoi cari. Così si è giustificato Alessandro Menditti, il camorrista autore di una clamorosa fuga dal carcere di Frosinone il 18 marzio. E ieri, il tribunale di Frosinone, lo ha condannato a un anno al termine di un processo con il rito abbreviato. La fuga di Menditti, 43 anni, fu da film. Con lui nell'impresa c'era anche un altro detenuto, l'albanese Ilirjan Boce, 44 anni, che saltando dal muro si schiantò al suolo, riportando gravissime lesioni al punto che, rimasto a terra, venne individuato e trasportato in ospedale all'Umberto I di Roma. La fuga scattò in piena notte, tra le due e le tre. Stando a quanto ricostruito in corso d'indagine, i due erano riusciti a tagliare le sbarre di una grata grazie a qualcuno che aveva introdotto all'interno del penitenziario bombole del gas e cannello. Sembra che, nelle notti precedenti, in tre momenti diversi qualcuno era riuscito a introdursi nel carcere e a portare ogni volta tre bombole di gas, con il cannello per la fiamma ossidrica e venti metri di tubo ad alta resistenza. La grata era nascosta dietro la tv. Senza farsi notare erano saliti sul tetto e da lì, come la più classifica delle evasioni, avevano calato delle lenzuola annodate per scendere nel cortile interno della casa circondariale. Da lì poi avevano ulteriormente scavalcato grazie a un arpione. Solo Menditti era riusciti a fuggire, mentre il compagno era rimasto a terra con addosso due telefoni cellulari, usati probabilmente per mettersi d'accordo con i complici

L'ipotesi avanzata è che ad organizzare il tutto sia stato un gruppo legato allo straniero, con un fine pena 2026. Menditti, invece, condannato per associazione mafiose ed estorsione a sette anni e mezzo, sarebbe uscito fra tre anni. La sua latitanza è durata poco. Giusto una settimana. L'evaso era a casa, a Recale, in provincia di Caserta. Sin da subito le ricerche si erano concentrate in Campania proprio sul presupposto che Menditti potesse trovare aiuto all'interno del suo habitat. Quando è scattato il blitz dei carabinieri del Nucleo investigativo di Caserta, Menditti era solo e disarmato. Ed è finito di nuovo dietro le sbarre. Ora si trova in un penitenziario della Sardegna. Ieri, nell'aula gup del tribunale di Frosinone c'era solo il suo avvocato, Guglielmo Ventrone. Davanti al giudice Ida Logoluso e al pm Rita Caracuzzo si è celebrato il processo con rito abbreviato. Menditti ha ammesso il fatto affermando di aver attraversato un momento di depressione per le difficoltà di avere colloqui con i propri familiari. Così ha deciso di fuggire. Il giudice, al termine del processo, gli ha concesso le attenuanti generiche, ritenute prevalenti sulle aggravanti, e lo ha condannato a un anno di pena. A giugno 2015 la Corte d'appello di Napoli aveva emesso quattordici condanne contro il clan Belforte per l'operazione Mangusta. A Menditti la corte aveva inflitto sette anni e mezzo. Condanna confermata in Cassazione.

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