L'incontro
04.11.2025 - 16:02
Si è tenuta nei giorni scorsi, nella stupenda cornice dell’Aula Magna del Liceo Classico “Torquato Tasso” di Salerno, un’interessante conferenza del professor architetto Stefano Manlio Mancini, già docente di Storia dell’Arte presso la stessa scuola e originario di Isola del Liri (cittadina laziale in provincia di Frosinone, ma fino al 1927 in provincia di Caserta e, prima dell’Unità d’Italia, facente parte del Regno delle Due Sicilie e che prende, inoltre, il suo nome dalla caratteristica forma del nucleo più antico, racchiuso fra due rami del fiume Liri, ciascuno dei quali presenta una spettacolare cascata), ma da diversi anni residente a Salerno, sul tema “I monumenti industriali della ex città-fabbrica di Isola del Liri”.
Dopo i saluti del Dirigente Scolastico, preside prof. Ida Lenza, ed una breve relazione introduttiva del prof. Alfonso Di Muro, docente di Storia dell’Arte presso il medesimo istituto scolastico, a prendere la parola è stato il prof. Mancini – autore di studi e saggi di storia dell’arte, di storia dell’architettura e, in particolare, sull’Archeologia Industriale nel Mezzogiorno d’Italia – che nei giorni precedenti all’evento ha tenuto una lezione propedeutica, alle quattro classi partecipanti alla manifestazione (5A, 5B, 5F e 5H), sulla definizione, sui limiti cronologici della suddetta materia e sul concetto di monumento industriale e che ha illustrato, con una serie di interessanti stampe ed immagini d’epoca (di cui alcune degli inizi del ‘900), un centro, la ex “città – fabbrica” di Isola del Liri – un complesso organismo industriale attualmente quasi in disuso, legato al ricco sistema idrico e alle sue valenze produttive – la cui connotazione caratteristica è difficilmente riscontrabile in altre realtà del Meridione.
Lo stesso docente ha cominciato il suo intervento proiettando inizialmente un video sulla città delle cascate e della musica (gemellata con New Orleans e nella quale, agli inizi di luglio di ogni anno si tiene il “Liri Blues Festival”, importante rassegna di musica Blues che vede la partecipazione anche di musicisti statunitensi), prodotto in occasione della partecipazione del centro lirino al concorso nazionale “Il borgo dei borghi” (promosso dalla trasmissione televisiva “Kilimangiaro”, in onda la domenica pomeriggio su Rai Tre), per il quale la cittadina che rappresentava la Regione Lazio, si è classificata al quarto posto nell’edizione dello scorso anno. Gli studenti partecipanti alla conferenza hanno potuto così conoscere i monumenti industriali di un centro – sorto in epoca medioevale sulle sponde del fiume Liri – unico esempio nel Basso Lazio di un tipo di sviluppo insediativo, caratteristico soprattutto delle regioni industrializzate del Nord. In particolare: l’ex Cartonificio Bottaro (l’attuale Centro commerciale), un opificio che in passato vedeva integrate alle funzioni produttive la residenza dei proprietari; la spettacolare Cascata del Valcatoio e il vecchio complesso industriale laniero dell’ex convento di San Francesco, inattivo da diversi anni e attualmente sede distaccata degli uffici comunali e del teatro comunale “Costanzo Costantini”; l’imponente Cascata Verticale e l’isolotto della cartiera Angelo Mancini (già Courrier), la cui peculiarità è in un certo senso l’unità tipologica fabbrica – villa: la fabbrica, infatti, con il suo fronte residenziale rappresentativo e il retrostante nucleo industriale (ormai inattivo da alcuni anni) con le relative attrezzature idrauliche, costituisce un particolare esempio di quella compenetrazione tra le funzioni della residenza e della produzione, alla stessa stregua dei manufatti del tessuto urbano che al piano stradale avevano ‘la bottega artigiana’ e al piano superiore la residenza; il castello Boncompagni (oggi Viscogliosi), che
costituisce il simbolo più espressivo di una tipica e locale ambivalenza insediativa: l’originaria rocca trecentesca costruita a controllo del fiume presso le cascate che qui si formano, e i successivi ampliamenti architettonici hanno dato vita ad un complesso organismo residenziale – produttivo, il quale collega all’imponente palazzo signorile le strutture proprie di un impianto industriale ancora in uso, anticipando a scala ridotta il carattere dell’ottocentesco sviluppo cittadino; l’abitato di Isola Superiore e il complesso “Fibreno” (già “Cartiera del Fibreno”), uno degli elementi più significativi dell’espansione
ottocentesca lungo l’asse stradale per Sora, sorto su di un preesistente convento cinquecentesco dei Carmelitani di Santa Maria delle Forme. (Il complesso, infatti, conserva stretti rapporti con le costruzioni limitrofe, costituenti il primo nucleo di case
operaie e le infrastrutture edificate a servizio delle maestranze della fabbrica, secondo un programma teso ad associare le abitazioni della comunità operaia ai luoghi della produzione). Ai discenti è stata anche illustrata quella parte della “Fibreno”, anticamente denominata “Soffondo” che in questi ultimi anni, per iniziativa dell’Amministrazione Comunale di Isola del Liri, è stata oggetto di un progetto – finanziato con fondi C.E.E. e poi abbandonato – di restauro e riuso a spazi museali e a sede del “Centro Europeo della Civiltà della Carta e delle Telecomunicazioni”; infine, l’impianto della ex Cartiera Emilio Boimond, che conserva ancora oggi l’assetto tipico del complesso industriale degli inizi del ‘900 e, in uno degli edifici, una grande macchina continua per la fabbricazione della carta. La struttura di quest’ultimo stabilimento è in conglomerato cementizio armato: le forme plastiche dei vari manufatti, le soluzioni figurative, il rapporto fra i volumi e quello fra l’ordito strutturale e le tamponature, alludono con forza ad espressività dal carattere protorazionalista, anche se affiorano motivi decorativi tardo-liberty. Sono stati poi analizzati anche i processi di lavorazione della carta nelle fabbriche isolane, evidenziando la vocazione industriale e produttiva del territorio lirino.
Il docente, infine, ha proiettato e commentato il documentario d’archivio “L’industria della carta nell’isola di Liri” (questo è il titolo originale), un eccezionale filmato del 1910, girato all’interno della “Cartiera del Liri”, all’epoca di proprietà della Società delle Cartiere Meridionali, il più importante impianto industriale cartario dell’Italia centromeridionale in quel periodo. Il cortometraggio di notevole interesse e realizzato in quell’anno dalla casa cinematografica romana “Cines”, è stato rinvenuto alcuni anni fa nella Cineteca di Bologna dal sorano Luca Rea, autore televisivo e regista di Rai Due. Non sono mancate, alla fine della relazione del prof. Mancini, le domande di alcuni studenti, in particolare: Diego Maria Maiellaro, classe 5A: Quanto reputa importante al giorno d’oggi la storia locale e la cura del patrimonio industriale in un’epoca in cui le industrie sono state
trasferite in altre aree, spesso lontane dai centri abitati? Stefano Manlio Mancini: Ritengo che la storia locale, la conservazione, la tutela, il restauro ed il riuso dei monumenti industriali siano imprescindibili affinché lo straordinario patrimonio di memorie, di cultura, di attività di una realtà che ha visto nascere e svilupparsi il processo dell’industrializzazione, non vada dimenticato, compromesso o addirittura cancellato. E questo è il caso di Isola del Liri, dove sono state individuate dal Piano Regolatore Generale del 1973, lo strumento urbanistico tuttora vigente, le zone destinate a nuovi insediamenti industriali, quali le località Tremoletto, Magnene e la vasta area compresa fra Selva e Barca San Domenico, liberando così il centro storico ed i quartieri nati con l’espansione ottocentesca della cittadina dalla presenza, ormai divenuta ingombrante, delle varie fabbriche. Tale scelta è stata dovuta al fatto che le suddette aree costituiscono ancor oggi – compatibilmente con le compromissioni dovute alla edificazione sparsa avvenuta negli ultimi anni – “il massimo contributo in termini di territorio pianeggiante che il Comune di Isola del Liri – per dirla con Federico Malusardi, il progettista di tale piano – può fornire in maniera organica allo sviluppo dell’agglomerato industriale di Isola del Liri-Sora, previsto dal Consorzio per l’area di sviluppo industriale di Frosinone”.
Demetra Giordano, classe 5B: Cosa ne pensa del fatto che il paesaggio naturale idilliaco della cittadina isolana sia stato completamente trasformato dallo sviluppo industriale che ha portato a dei cambiamenti drastici del suo territorio? S.M. Mancini: Indubbiamente il paesaggio naturale di Isola del Liri (già Isola di Sora) con le due spettacolari cascate Verticale e del Valcatoio, immortalato da artisti quali il pittore tedesco Jakob Philipp Hackert, i francesi Jean-Joseph-Xavier Bidauld e Florent Fidèle Constant Bourgeois, il tedesco Ernst Fries e i napoletani Raffaele Carelli e Salvatore Fergola, questi ultimi autorevoli esponenti della ben nota della Scuola di Posillipo, tanto per citarne i maggiori che, all’epoca del Grand Tour, abbiano visitato e rappresentato nelle loro opere la cittadina isolana, ha subito una radicale e brutale trasformazione con la rivoluzione industriale, iniziata nella Media Valle del Liri a partire dal Decennio francese (1806-1815). Proprio in questo periodo furono soppressi, con infelici trasformazioni di edifici già esistenti, il convento dei frati minori conventuali di San Francesco, nel nucleo storico, dato in censuazione dal Governo Napoletano all’industriale laniero Gioacchino Manna, e quello cinquecentesco dei carmelitani di Santa Maria delle Forme, in località Tavernanova, offerto in concessione nel 1812 al francese Carlo Antonio Beranger, il pioniere e l’animatore della moderna industria della carta meridionale, che vi impiantò una cartiera all’olandese – la prima nel Mezzogiorno – poi rilevata nel 1822 dall’altro connazionale, l’imprenditore Carlo Lefebvre di Pontarlier, che in breve vi fece prosperare l’attività cartaria, venendo così ad occupare un posto di primaria importanza
nella storia della carta del Mezzogiorno.
Barbara Lamberti, classe 5F: In che modo le cascate hanno influenzato l’urbanistica e l’architettura della città di Isola del Liri? S.M. Mancini: Le cascate della cittadina isolana sono da sempre una risorsa per l’intero paese. Molto probabilmente, come afferma il mio carissimo amico Alessandro Viscogliosi nel video che ho proiettato all’inizio del mio intervento, la Cascata Verticale fu creata nel Medioevo, quando fu deviato il corso del fiume Liri, per consentire una più sicura difesa del Castello che fu costruito sulla rupe collocata in quel punto, per contrastare la minaccia delle possibili invasioni dei barbari e dei saraceni che risalivano il corso fluviale con le loro imbarcazioni, tesi questa sostenuta precedentemente dallo storico locale Arduino Carbone, secondo il quale l’acqua, più di duemila anni fa, “poteva ben defluire tutta tra le rocce di quella che oggi chiamiamo Cascata del Valcatoio, nascosta dagli alberi, priva di apparenza spettacolare.
Fu lavoro facilissimo quello di incidere il travertino spugnoso, carico di acqua, e di rimuovere i tronchi e la melma accumulati dalle piene contro la riva sinistra: ed ecco miracolosamente o intelligentemente create dagli ingegneri idraulici dell’alto medio evo la cascata grande e l’isola. In alto si metterà un castello e nell’isola staranno bene le abitazioni e le chiese per i sudditi!”. Lo stesso autore poi si sofferma sulla “lotta titanica” sostenuta dal Comune isolano e da tutta la sua popolazione contro la soppressione o la diminuzione di portata della “loro cascata monumentale e vitale”. Tale strenuo conflitto culminò nel decennio 1949-1959, quando “due società per la produzione ed il commercio dell’energia elettrica, la S.I.A.L. (Società Idroelettrica Alto Liri) e la S.R.E. (Società Romana Elettricità), presentarono al Ministero dei Lavori Pubblici un progetto che prevedeva la creazione di un grande bacino di raccolta sull’ampliato lago Fibreno e la deviazione delle acque, mediante canalizzazione anche in galleria, da Balsorano al lago Fibreno e da questo [alla vicina] Anitrella, lasciando così privi di acque il fiume Fibreno per tutto il suo corso ed il Liri tra Balsorano ed Anitrella”.
Insorsero fermamente i 14 Comuni coinvolti nel progetto, insieme con i dirigenti delle diverse industrie dell’intero territorio, organizzando scioperi, proteste e manifestazioni varie che raggiunsero l'apice nel grande convegno, tenutosi ad Isola del Liri nel Cinemateatro del conte Mangoni di Santo Stefano il 27 luglio 1958, al quale parteciparono fraternamente tutte le forze politiche, gli Enti e le autorità provinciali, gli industriali e gli operai e la popolazione intera. Seguirono forti opposizioni ufficiali che fecero sì che il “progetto delittuoso – come afferma sempre il Carbone – dopo aver subito in sede istruttoria l’unanime opposizione da parte di tutti, direttamente interessati o non, fu clamorosamente bocciato e le cascate isolane furono salve per sempre”: Giulia Giardullo, classe 5H: In che modo l’Archeologia Industriale si differenzia dalla tradizionale Storia dell’arte? S.M. Mancini: L’Archeologia Industriale si può considerare in sostanza una branca della Storia dell’arte, essendo una disciplina che si interessa dell’investigazione, della catalogazione, della conservazione, del restauro e del riuso di particolari monumenti, e
cioè quelli industriali, presi in esame nel contesto della storia socio-economica e tecnologica. Ma poiché il desiderio di circoscrivere l’approccio di tale materia alla sola componente estetica del processo di analisi si è dimostrato ben presto irrealizzabile sul piano operativo, “dobbiamo convenire che l’A.I. – scrive Gregorio Rubino – deve considerarsi, più in generale, un campo di studi aperto alla problematica storica del mondo del lavoro e della cultura materiale, al cui approccio sono interessate discipline le più diverse e studiosi di varia formazione, dalla economia alla sociologia, dalla tecnologia al design, dalla geologia all’urbanistica, dall’architettura al restauro etc.”.
Maria Teresa Mauro, classe 5H: Qual è il rischio nel separare l’oggetto industriale dal contesto storico e sociale? S.M. Mancini: La risposta a questa domanda è univoca e cioè che bisogna convenire che, facendo riferimento alle esperienze dapprima maturate in altri paesi europei, quali ad esempio i casi di Coalbrokdale e dell’Ironbridge Gorge Museum di Telford in Gran
Bretagna e quello dell’Eco-Museo di Le Creusot in Francia (sorti intorno alla fine degli anni ’60 del secolo scorso), e successivamente anche in Italia, oggetto dell’intervento di protezione non potrà essere il singolo episodio industriale – il manufatto architettonico o la “macchina” – esaminato caso per caso ed estrapolato dal suo contesto, quanto il sistema di fabbrica, cioè il complesso delle risorse idrogeologiche e paesistiche, minerarie e forestali, infrastrutturali e produttive che hanno interessato una determinata area geografica, in una particolare epoca, e con precisi risvolti di carattere storico, politico,
economico e tecnologico. È necessario poi fare una distinzione – sempre secondo il Rubino – fra “paesaggio industriale, inteso come paesaggio artificiale prodotto dai modi di produzione della Grande Industria”, e “ambiente industriale che è ad un tempo luogo fisico (ecosistema) e culturale (usi, costumi, folclore…)”, concludendo come la tutela dei monumenti industriali non sembri differire dalla tutela monumenti-ambiente propria della moderna metodologia del Restauro.