Cerca

Tipi ciociari. L'intervista

Ennio Scaccia e la sua ’Mbriachella. La tradizione ciociara è servita

Prodotti a chilometro zero e un successo lungo trentotto anni. Insieme ai suoi cinque figli e ai nipoti porta avanti l’attività di famiglia. E i piatti? Tutti quelli della nostra cucina tipica

Sulle pareti aneddoti, fotografie con attori, politici, calciatori del Frosinone, la sua squadra del cuore. E tante poesie di Paolino Colapietro. Immagini che raccontano trentotto anni di storia, non solo di Frosinone ma dell’intera provincia. Sui tavoli, invece, il profumo del pane appena sfornato, della focaccia bianca col rosmarino e delle tipiche ciambelline al vino. Insomma, tutti i sapori della cucina ciociara. Mai un cambiamento. Il giovedì il menù prevede gli gnocchi al pomodoro, ancora oggi come dal primo giorno...

Ennio Scaccia, ottantacinque anni compiuti qualche giorno fa, cinque figli, otto nipoti, otto volte “nonno bis”. E una vita intera passata nel suo ristorante di Maniano. Ricorda come se fosse ieri il primo giorno di attività de “La ’Mbriachella”. Era il 2 agosto 1986 quando insieme a sua moglie Santina (e poi con i figli Romina, Stefania, Giorgio, Gerardina e Paola) decise di intraprendere questo lungo viaggio all’insegna della qualità e della tradizione. Oggi al suo fianco nel ristorante c’è anche la nipote Silvia che ascolta con attenzione ogni consiglio e ogni insegnamento del nonno. Mangiare da “La ’Mbriachella” è come stare seduti alla tavola di casa. In sala ci sono tutti i profumi di una volta, quelli che oggi è difficile trovare. Pasta fatta in casa, rigorosamente con le uova delle galline allevate dalla famiglia Scaccia. Timballo, gnocchi e per l’inverno la polenta. Salsicce, polli e cinghiali. Tutto a chilometro zero e di produzione propria. Perfino l’olio e il vino. Sono pochissimi gli ingredienti che arrivano da fuori. Così come i cuochi o i camerieri. Il ristorante, infatti, ancora oggi è a conduzione familiare. E forse è proprio questo il segreto del successo de “La ’Mbriachella”. Poi c’è il padrone di casa Ennio, un pezzo di storia, capace di far sentire ogni cliente a casa.

Quando e come è nata “La ’Mbriachella”?
«Da ragazzo ho fatto un po’ tutti i lavori. Il benzinaio a Roma, l’impiegato, ma anche il magazziniere fino a gestire una rivendita di bevande come ingrosso. Proprio qui dove ora c’è il ristorante. Poi, durante una festa di quartiere, nel lontano 2 agosto del 1986, quando avevo quarantasette anni, mi sono “reinventato” provando a cucinare qualcosa, oltre che a vendere le bevande, proprio in occasione di questa festa. Ecco, è cominciato tutto così...».

E poi è nata “La ’Mbriachella”...
«Sì, un po’ per caso. All’inizio preparavamo soltanto pizze e il pizzaiolo ero io. Sempre con l’aiuto della famiglia. Era il 28 dicembre 1988 quando abbiamo aperto il ristorante. Tutto è rimasto uguale».

E il nome come è nato?
«Una sera dissi a mio figlio Giorgio: “Facciamo sempre queste pizze al pomodoro. Prova a fare qualcosa di diverso. Una focaccia in bianco, due acciughe, un po’ di prosciutto, di peperoncino. Anche per cambiare”. E cominciai a farla assaggiare a tutti i clienti in sala. Una sorta di esperimento per vedere se alle persone piaceva il nuovo gusto. Posso dire che la sala rispose molto positivamente. Tanto che cominciarono ad ordinare soltanto pizze in bianco con acciughe e prosciutto. “Ammazza che buona”, mi dicevano tutti. “Però fa bere e se inizio a bere poi mi ubriaco”. Ed ecco come è venuto fuori il nome ’Mbriachella».

Un ristorante sempre a gestione familiare...
«Mia moglie in cucina, io tra forno, sala e bar. E da quando mia moglie Santina non c’è più, sono undici anni che mi manca, le mie figlie hanno ereditato tutto il suo talento per la cucina ciociara. E anche i dolci. Ad esempio mia figlia Romina impasta delle ottime ciambelline che inzuppate al nostro vino sono qualcosa di fenomenale. Tutti ce le invidiano».

Poi c’è la passione per il Frosinone Calcio. Ancora oggi va allo stadio?
«Certo, non mi perdo neanche una partita. Ho vissuto tutte le categorie fino alla Serie A. È una passione che ho sempre avuto e tutte le squadre me le ritrovo puntualmente qui a cena. Nessuno riesce a fare a meno della nostra cucina. Due anni fa, ad esempio, quando c’è stata l’ultima promozione in Serie A, la squadra è venuta a festeggiare insieme al presidente Stirpe, al direttore Angelozzi e all’allora allenatore Grosso. Una tavolata di oltre cento persone».

Ma parliamo dei piatti. Qual è il più ordinato?
«I fini fini, le fettuccine, gli gnocchi. Diciamo che è difficile scegliere. Anche se quello che va forte da sempre sono i “fini fini alla ’mbriachella”, ossia con funghi, salsiccia e pomodoro. Ma anche al ragù».

Tutti prodotti a chilometro zero...
«Dal pollo al cinghiale fino alla pasta fatta all’uovo. Tutto prodotto da noi. Anche i cinghiali vengono allevati qui. Purtroppo oggi non riesco più ad occuparmi di tutto. Diciamo che il timone è passato ai miei figli che curano anche l’orto. Mi piacerebbe fare ancora tutto ma l’età è quella che è. Però continuo a scendere tutti i giorni al ristorante».

Qual è il ricordo più bello che la lega a questo posto?
«Ovviamente è stata una vita piena di sacrifici. Spesso restiamo fino alle 3 di notte per pulire. Ma è un’attività che ci da tante soddisfazioni. Qui dentro ho tutti i mie ricordi. La storia di una vita intera. Chiunque viene si sente a casa. A tavola trova la tradizione. La ’Mbriachella” è tutto per me. È casa. È la mia vita e non potrei farne a meno».

Edizione digitale

Sfoglia il giornale

Acquista l'edizione