Spazio satira
Olimpiadi Victoria
05.09.2024 - 20:56
Una guida, un padre, un nonno. Padre Adelmo Scaccia, novantuno anni tra un mese, è un punto di riferimento per molti. Nel 1971 ha portato a Frosinone le Olimpiadi Victoria, una sua invenzione di quando era un giovane sacerdote a Spoleto. Ha dedicato tutto la sua vita ai giovani e allo sport. Una sua grande passione che l’ha portato anche a conseguire il titolo di allenatore di pallavolo. E possiamo dire che la pallavolo in città l’ha portata proprio lui. Dopo quarantasette edizioni le Olimpiadi Victoria sono ancora seguitissime e anno dopo anno continuano a collezionare record di iscrizioni e un successo dietro l’altro.
Padre Adelmo qual è il segreto?
«Sta tutto nell’organizzazione e nella partecipazione. Più andiamo avanti e più i numeri crescono. I bambini portano sorrisi, divertimento e in questo coinvolgono anche i grandi. Come quando “Gesù disse lasciate che i bambini vengano a me”. Insomma io ho detto la stessa cosa. Poi ci sono persone che prendono le ferie per venire qui a collaborare per la buona riuscita delle Olimpiadi. Tutto questo non fa altro che rendermi orgoglioso».
Facciamo un passo indietro. Parliamo delle prime Olimpiadi Victoria...
«Innanzitutto c’erano i rioni e non le squadre. Si sfidavano tra loro le contrade di Colle Cottorino, De Matthaeis - via Maria, Madonna della Neve e stazione. Però questa formula è stata quasi subito abolita. Così sono subentrate le squadre dopo circa due anni».
Ma tutto è nato a Spoleto...
«Era il 1963 mi affacciai alla finestra e vidi tanti bambini che giocavano in oratorio. Scesi giù e notai proprio che erano contenti. È stato un attimo. Mi chiesi “e se facessimo le Olimpiadi”. Detto fatto, proprio in quell’anno realizzai la prima manifestazione».
E in questo modo ha messo in risalto il suo passato da sportivo?
«Assolutamente si. Io sono allenatore di pallavolo, ho fatto il corso ad Acerno, un piccolo paesino in provincia di Salerno. Allenavo sia a Spoleto sia qui a Frosinone».
Ma come è nato l’impianto sportivo di Madonna della Neve?
«Prima c’era soltanto il campetto da calcio e si allenava il Frosinone. Poi quando la società ha optato per altre strutture io ho preso subito la palla al balzo. Tutto quello che vedi qui è uscito dalla mia testa. Anche le cose più piccole».
Con quanti iscritti siete partiti?
«Sempre oltre i cinquecento. Siamo arrivati anche a 1.000 quando ancora non c’era il nuovo campo».
Cosa si prova dopo tutti questi anni?
«Non ne posso fare a meno perché le ho create io e sono parte integrante della mia vita. Le ho vissute nei minimi particolari. Il punto più bello? È l’alzabandiera».
E il ricordo?
«La presenza dei bambini. Mi sono entrati nel cuore. Già sapevo che sarebbe stato un successo».
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