Cerca

Il giallo di Arce

Serena e Guglielmo: due vite, nessuna verità. Storia di un'Italia piccola

Diciannove anni non sono bastati per rendere giustizia a Guglielmo. L'omicidio, le indagini, le omertà, i depistaggi. E un senso collettivo di vuoto

La storia tragica di un uomo e di sua figlia, ma anche il tratto di un'Italia piccola, misera nei suoi misteri, brulicante di sospetti e depistaggi, che non sa dare giustizia a un padre, a cui non bastano diciannove anni per separare dal termine "giallo" quel fatto orrendo. La vicenda umana di Guglielmo Mollicone è un ritratto di questa Italia, perciò è divenuta un simbolo. Come del resto la sua forza nel reclamare la verità sull'ef ferato assassinio di Serena. Un uomo mite, segnato da un destino crudele: prima la perdita della giovane moglie, poi il colpo al cuore di Serena. Ferito sì, ma cocciuto nel voler trovare un senso a tanto dolore. Quella verità per cui ha combattuto come un leone e che nessuno è riuscito a dargli fino a domenica scorsa, quando il suo cuore coraggioso lo ha mollato.

Le sue lacrime al funerale di Serena sono ancora vive nel ricordo di chi quel giorno c'era. E quell'onta dei carabinieri che lo prelevano al termine delle esequie e lo portano in caserma per interrogarlo. È il 1° giugno 2001, un venerdì, quando la ragazza scompare. La diciottenne esce di casa e va a Isola del Liri per fare una ortopanoramica, poi torna ad Arce. Viene vista per l'ultima volta nella tarda mattinata in piazza. Una squadra della protezione civile la trova morta domenica 3 giugno, poco dopo mezzogiorno. È nel boschetto di Fonte Cupa ad Anitrella, a una decina di chilometri da casa.

Mani e piedi legati con scotch e fil di ferro, la testa in un sacchetto di plastica. È morta per asfissia. Un omicidio terribile, una fine agghiacciante, uno shock per tutti. Come può una ragazza finire così? E perché? Le indagini partono subito nel verso sbagliato. Nel registro degli indagati della procura di Cassino finisce il carrozziere di Rocca d'Arce Carmine Belli. La polizia lo arresta. Un'altra vittima del "giallo di Arce". Entrano in gioco avvocati e criminologi: due anni di battaglie in tribunale, la condanna in primo grado e nel 2004 la Cassazione proscioglie Belli da ogni accusa. Papà Guglielmo stringe con lui un rapporto di sincera amicizia.

Il tempo passa e la verità non viene a galla. Anzi, il mistero s'infittisce. L'11 aprile 2008 il carabiniere di Arce Santino Tuzi si uccide con un colpo di pistola nella sua auto. Aveva raccontato agli inquirenti che la mattina del 1°giugno una ragazza era entrata in caserma, forse Serena. L'inchiesta cambia strada ma ha i suoi tempi. Lunghi. Guglielmo però non molla. Esprime pubblicamente la sua richiesta di giustizia. E diventa un personaggio mediatico. Interviste, interventi in tv, nei convegni, nelle scuole, riconoscimenti, inviti. Lui va e parla di Serena, confida negli inquirenti, vuole la verità.

Nel giugno 2011, accusati di omicidio volontario e occultamento di cadavere, vengono indagati l'ex comandante della caserma di Arce Franco Mottola, sua moglie Anna Maria e suo figlio Marco. Tutto il paese è coinvolto, viene esaminato il Dna di 272 persone. Senza esito. Poi, nel 2016, la riesumazione del cadavere di Serena e un nuovo straziante funerale per Guglielmo. Altri esami medico-legali e una perizia di 250 pagine. Caso riaperto. L'omicidio sarebbe avvenuto in caserma. Un anno fa la chiusura delle indagini con la richiesta di rinvio a giudizio per i Mottola, il sottoufficiale Vincenzo Quatrale per concorso e il carabiniere Francesco Suprano per favoreggiamento. Papà Guglielmo ne era certo: l'hanno ammazzata in caserma. La giustizia terrena non è stata capace di rispondergli. Il coma in cui è sprofondato il 27 novembre scorso ha soffocato la sua speranza, non però quella di un intero Paese.

Edizione digitale

Sfoglia il giornale

Acquista l'edizione