Stephen King è certamente uno degli scrittori contemporanei più conosciuti. Parliamo infatti dell'autore di romanzi famosissimi, che hanno venduto decine di milioni di copie in tutto il mondo. La sua planetaria fama è stata alimentata anche dal fatto che molti dei suoi libri (prevalentemente di genere "horror"), sono diventati pellicole di grande successo. Basti pensare a "Carrie", pubblicato nel 1974, e due anni dopo portato sul grande schermo da Brian De Palma; a "La zona morta" del 1979 (adattato per il cinema da David Cronenberg nel 1983 e magistralmente interpretato da Christopher Walken); a "Misery" (edito nel 1987, e che nel 1990 fruttò a Kathy Bates il Premio Oscar come migliore attrice protagonista); a "Il miglio verde" (1996), che ebbe la nomination come miglior film nel 2000; ma soprattutto a "Shining" (1977), dal quale fu tratto un capolavoro assoluto della storia della cinematografia (1980), il quale ha costituito, a mio modesto avviso, l'apice della carriera di Stanley Kubrick e di Jack Nicholson. Tuttavia l'opera letteraria più famosa di Stephen King rimane forse "It", pubblicato nel 1986.

Il lunghissimo romanzo, edito in Italia da Sperling & Kupfer, racconta di un gruppo di ragazzi che si ritrovano a combattere contro una creatura malefica chiamata Pennywise, la quale, di solito, assume le sembianze di un clown, e semina morte e terrore in un'immaginaria cittadina del Maine. La storia, che venne adattata per il piccolo schermo già nel 1990, è ora diventata un film, che ha riscosso un grande successo, e ha confermato che il genere "horror" è sempre molto apprezzato dal pubblico. Viene da chiedersi quale siano i motivi che spingono tante persone a cercare volutamente la paura. Al cinema, così come nella vita reale. Dare una risposta non è semplice. Per farlo bisogna infatti dapprima capire cosa sia veramente questa nostra straordinaria emozione, questo nostro specifico modo di rispondere al pericolo; ma anche da che cosa sia originato, e quali effetti (positivi e negativi), esso concretamente determini dentro di noi. È noto infatti che si può arrivare ad avere paura non solo a causa di fattori indipendenti dalla nostra volontà (si pensi al timore di un conflitto nucleare, a quello di subire un lutto o un'aggressione, all'ansia di perdere il lavoro), ma anche a seguito di comportamenti che, invece, sono la conseguenza diretta di nostre deliberate scelte (praticare uno sport pericoloso, assumere sostanze stupefacenti, o, semplicemente, decidere di assistere ad un film terrorizzante). Un utile strumento per provare a comprendere i meccanismi di questa reazione emotiva istintiva, che, se ci si riflette, ci aiuta a sopravvivere, è il saggio scritto da Maria Rita Ciceri, intitolato semplicemente "La paura", e pubblicato dalla casa editrice "Il Mulino" (128 pagine).

L'autrice, dopo averla definita la nostra "emozione più antica", ci spiega che essa è «il nostro regolatore interno rispetto al pericolo esterno… che coinvolge l'intero nostro organismo e lo prepara ad agire. La paura ci consente di anticipare il pericolo, di imparare a conoscerlo, se è possibile ci insegna a disinnescarlo, altrimenti ad aggirarlo e a condividerlo».

Edmund Burke, infatti, una volta ebbe a dire che «una vigile e provvida paura è la madre della sicurezza». La Ciceri rammenta che «comunemente si considera questa esperienza emotiva, tanto pervasiva, come una prova da evitare. Si ritiene che quanto più si è liberi da paure, più si è forti e in grado di affrontare gli ostacoli della vita. Si tratta di un'affermazione semplicistica, che non rende ragione della complessità di questa straordinaria emozione… certamente trovarsi nella condizione di avere paura non è piacevole, e noi tentiamo di superare e di uscire da una simile situazione il più velocemente possibile. Tuttavia occorre non confondere il pericolo con la reazione di paura a esso associata. Il primo costituisce la minaccia – normalmente esterna – alla nostra incolumità, e si manifesta in modo indipendente dalla nostra volontà… la paura è, invece, la sofisticata reazione del nostro organismo a tali minacce… la paura, dunque, si configura come una specializzata modalità del nostro organismo di rielaborare le informazioni e affrontare la realtà».

L'autrice del saggio ci spiega le varie forme che la paura può assumere (ansia, terrore, panico, orrore etc…), e ci aiuta a capire per quale motivo le persone, certe volte, facciano di tutto per cercarla e sollecitarla. Quel che è certo è che, in qualche modo, quel tipo di emozione «accompagna ogni esperienza nuova, sconosciuta, quindi potenzialmente pericolosa. La paura, con la dose di adrenalina che la caratterizza, è presente nel piacere del rischio, del cambiamento, dell'innovazione. In questo caso, la paura, è un motore, non solo un inibitore. Mantiene lo stato di allerta, ci predispone ad affrontare l'imprevisto, con le risorse di cui disponiamo in quel momento. È questo stato d'animo a caratterizzare il piacere di esporci alla paura, che proviamo nel vedere un film del terrore e nel leggere un buon giallo, così come nell'esperienza reale (non mediata dalla finzione) di vivere il rischio… a volte il piacere scaturisce dall'attendere il cambiamento, dalla condizione di non sicurezza, dalla paura che ci spinge ad osare». Proprio per questo motivo il nostro livello di tensione emotiva tende a calare quando abbiamo certezza, o quanto meno la coscienza, dell'esito del pericolo che ci angoscia. Rivedendo infatti nuovamente la scena di un film terrorizzante, non saremo mai spaventati come la prima volta. Perché sappiamo già come andrà a finire. Tale inconscio meccanismo di difesa si rivela particolarmente utile in situazioni ben più gravi. Alcuni studi scientifici hanno infatti accertato che «un'accurata e ripetuta spiegazione delle ragioni e del tipo di procedure mediche» a cui un paziente deve essere sottoposto, contribuisce ad alleviare le sue paure, riducendo «il dolore fisico e i disagio rispetto alla malattia». Questo perché «l'entità del dolore fisico è influenzata dal tipo di valutazione mentale del dolore stesso». Ed infatti, Michel de Eyquem de Montaigne sagacemente una volta disse che «un uomo che teme di soffrire soffre già di quel che teme». In conclusione può dunque dirsi che bisogna avere il «coraggio di avere paura». È un trucco che ci aiuta a non superare scioccamente, per quanto possibile, il confine tra pericolo ed evento. Tra ragione e stupidità.