«L'idea della scultura che omaggia il lavoro di Umberto Mastroianni nasce durante il periodo della preparazione della mia personale presso la Fondazione e Museo Mastroianni di Arpino, curata da Loredana Rea nel 2017…».
Le parole di esordio di Renzo Bellanca sembrano pronunciare il senso – ovvero la sostanza – di un progetto nato per coincidenze quasi astrali e fattosi di colpo "luogo di intenti" e di riassunto. Il fascino dell'opera mastroiannea agli occhi dell'artista siciliano è evidente ma non per questo è sopraffazione o specchio emozionale, piuttosto "dialogo": con le forme accelerate del grande scultore, con i ripiegamenti d'ombra, con i bagliori inattesi.

Quasi a strapparne la simbologia delle origini e farne scrittura inedita ma al contempo riconoscibile, per cifre, segni, impeti, tutti raccolti in una sorta di campitura capace di restituire voce e memoria, suono e rifiato. D'altra parte è l'omaggio reso ad un grande dell'arte novecentesca; ed è un omaggio rigoroso, in punta di piedi, "traslocando" in quel reticolo di tracce quella che di Renzo Bellanca è la personalità espressiva, il carattere di un linguaggio plasmato negli anni, lo sguardo sul trascorso e sulle ipotesi del divenire. Dialogare è in fondo ascoltare ed ascoltarsi, prestare attenzione alla memoria e farne spazio assorto e magico, cortile di nuove distanze.

«L'opera è realizzata da una lastra unica di acciaio corten delle dimensioni di h. 200 x 110 x 1 e nasce come idea di un kit di montaggio che, staccati tutti i pezzi inseriti all'interno del telaio portante, ciascuno possa giocare con gli elementi contenuti nella scultura e montare la propria opera di Mastroianni» continua nel suo racconto Bellanca, sottolineando come l'aspetto ludico dell'intervento restituisca il giusto intervallo tra il referente storico e la sua rivisitazione attuale.

Offre una giocosa specchiera calligrafica l'artista agrigentino, con i "caratteri" di acciaio che si scompongono e si riordinano per volere dello sguardo o del vento: tra segni stipati e varchi di rifiato. Come un'ipotetica scacchiera dove ogni movimento si fa di attesa e di ragionamento, di fuga e d'approdo. Ma il dialogo – storico e linguistico – con le forme create da Umberto Mastroianni è oltremodo "conversazione" con il luogo. L'antica terra dei latini è stata, per il maestro di Fontana Liri, madre e assillo temerario, generatrice di segni e prospettive d'impeto, memoria del fuoco e del suono.

"Terra mia lontana/ ombra fugace/ tristezza d'un Fato/ sopravvissuto" ebbe a scrivere Mastroianni dei suoi luoghi. E sembra ripercorrerli – un'ulteriore offerta? – Renzo Bellanca che pone la sua "stele" a cavallo di colline aspre, tra sorgenti celate e tornanti che conducono al cielo. Nei vuoti dell'acciaio brunito si scoprono boschi inconsueti, nuvole di biacca, brandelli di azzurro e al vespro – d'estate – rossori d'orizzonte. E la montagna sacra del Cacume, sentinella dei Lepini, che occupa lo sguardo e poi, nella nebbia, si dissolve.

Un'opera, quella di Renzo Bellanca, che sembra vivere di rappresentazioni concomitanti, di segnali, di forme mutanti, di indizi remoti e vicini, di aliti e di echi. «… conservami un sasso delle tue colline / se non torno / e nell'avida acqua dei tuoi fossi/ cerca l' immagine mia ….» scrisse di questi luoghi Libero de Libero.