Arte liberata è il titolo della mostra di capolavori salvati dalla guerra, tenuta nelle Scuderie del Quirinale di Roma e da poco terminata. Tra i funzionari statali che hanno contribuito a porre in salvo le opere esposte, figura anche Pasquale Rotondi, nato ad Arpino nel 1909 e protagonista, come soprintendente alle Gallerie delle Marche durante la seconda guerra mondiale, di quella che viene storicamente ricordata come "Operazione salvataggio".
Nel conflitto bellico riuscì a salvare da furti e distruzioni oltre 7.000 opere d'arte, molte delle quali tra le più importanti e preziose del patrimonio italiano.
Per conoscerlo meglio abbiamo intervistato Paola Rotondi, una delle sue due figlie insieme a Giovanna. «E no, io non ho alcun merito per esser nata da cotal padre!» sono le prime parole di Paola, intervistata da Ciociaria Oggi nel suo appartamento romano. Diretta, immediata, sincera, insegnante di italiano fino al pensionamento indubbiamente prematuro per la sua vivacità intellettuale, Paola parla di buon grado degli aspetti più familiari del papà, sfuggiti probabilmente ai tanti registi e biografi a lui interessati. Ne fa un ritratto inconsueto, nel quale eventi storici, arte e sentimenti si intrecciano fino a regalarci un quadro da conservare tra le pagine più belle della nostra terra.
«Sin da piccolo il suo più grande desiderio era dipingere e studiare all'Accademia di Belle Arti ma suo padre possedeva una bottega molto grande ad Arpino, nella quale vendeva di tutto, e desiderava che il figlio si laureasse in una facoltà dove "si facesse di conto" per rilevare l'attività di famiglia».
Il giovane Pasquale va così a malincuore a Napoli per frequentare il corso di laurea in economia e commercio e, pur distinguendosi negli esami, una controversia con il professore di statistica, nella quale tra l'altro aveva ragione, lo spinge a lasciare la noiosa facoltà per chiedere al padre di poter frequentare un corso universitario più vicino alle sue inclinazioni artistiche. Il padre fatica non poco a convincersi ad accontentare Pasquale ma pone una condizione, e cioè che il suo sostegno economico sia minimo. «Papà fece tanti lavoretti per mantenersi agli studi universitari ma i primi tempi furono decisamente duri per lui, al punto che la sua cena abituale consisteva in pane e olive».
Laureatosi brillantemente e velocemente in lettere con tesi su Pietro Bernini e sotto la guida di Adolfo Venturi, il fondatore della disciplina storico-artistica a livello universitario in Italia, inizia la sua carriera di funzionario statale come ispettore alla Soprintendenza all'arte medievale e moderna di Ancona. «Non avrà più tempo per dipingere fino al pensionamento, quando finalmente potrà soddisfare le sue aspirazioni artistiche, ma ben presto dovrà abbandonare gli amati pennelli per assistere la moglie malata».
In effetti, il talento artistico di Pasquale Rotondi è ampiamente testimoniato dalle sue opere esposte nell'abitazione di Paola, scorci di paesaggi preferibilmente ciociari densi di emozioni intime. Appena può torna ad Arpino, dove ricrea il suo mondo originario, fatto di cose semplici: gli amici d'infanzia, il buon cibo, le passeggiate.
«Gli piaceva tantissimo anche isolarsi in campagna, dove poter respirare aria buona e odorosa e riposarsi mentalmente dalle fatiche del suo lavoro». Ma Arpino per Rotondi è anche una miniera di cultura, in cui ogni pietruzza profuma di storia, letteratura, filosofia, arte…
L'arte, quella alla quale il soprintendente vota la sua vita, rischiandola per proteggere, nella Rocca di Sassocorvaro, nel Palazzo dei Principi di Carpegna e nei sotterranei della cattedrale e del palazzo Ducale di Urbino, i capolavori di Giorgione, Giovanni Bellini, Caravaggio, Piero della Francesca, Paolo Uccello, Tiziano, Carlo Crivelli, Carpaccio, Mantegna, Raffaello… Ma il suo istinto protettivo non si ferma qui, perché «papà non ci ha mai detto nulla del suo lavoro e, in particolare, dell'Operazione salvataggio, proprio per proteggerci. Inoltre, se fosse stato per lui, nessuno avrebbe mai saputo ciò che ha fatto neppure dopo la sua morte».
E infatti dobbiamo a Oriano Giacomi, sindaco di Sassocorvaro, e a Giorgio Londei, sindaco di Urbino, il recupero della memoria della clamorosa operazione, che si completa in una solenne cerimonia con il conferimento a Rotondi, nell'ottobre del 1986, della cittadinanza onoraria con la seguente motivazione: «Per avere illustrato l'arte e i valori della città di Urbino e del palazzo di Montefeltro e per aver salvato dalla furia della guerra e sottratto alla rapina dei tedeschi gli immensi tesori d'arte a lui affidati».
L'Operazione salvataggio del soprintendente comincia ben prima che l'Italia diventi teatro di guerra ed è del 1° ottobre del 1939 una riflessione di Rotondi trascritta nel diario, diario che sarà oggetto di una preziosa pubblicazione del Comune di Sassocorvaro Auditore e della Pro loco di Sassocorvaro nel 2021. Il soprintendente, infatti, dopo un informale colloquio con Giulio Carlo Argan in cui gli preannuncia l'intenzione del ministro dell'Educazione nazionale Giuseppe Bottai di affidargli il noto incarico, scrive che è molto preoccupato per le opere d'arte del territorio perché capisce dalla presenza di soldati italiani che sarà allestito un deposito di munizioni nella galleria ferroviaria sotto Urbino.
I suoi tentativi di far desistere da quel proposito i militari vengono respinti dal podestà e dal prefetto e allora Rotondi comincia la ricerca di luoghi dove ricoverare i patrimoni artistici italiani.
Rotondi è sì dedito anima e corpo al suo lavoro ma una parte importante della sua vita è la famiglia, come già accennato, e non disdegna di accompagnare i pomeriggi delle figlie, come ci racconta Paola, «leggendo "I promessi sposi", scegliendone le parti più adatte alla nostra giovanissima età e, addirittura, recitandole come in una sorta di attuale fiction. Questa cosa non solo ci divertiva tantissimo ma ci ha trasmesso l'amore per la lettura». La ricerca sui luoghi dove ricoverare le opere d'arte richiede non solo celerità, per l'incombere della guerra, ma anche accuratezza per garantire le condizioni minime di conservazione.
Scrive Pasquale Rotondi: «I requisiti richiesti rendevano però abbastanza difficile l'esito di tale ricerca. Indispensabile doveva essere, difatti, anzitutto, la lontananza della località da centri industriali o ferroviari o addirittura militari d'interesse bellico. I locali prescelti dovevano presentare inoltre una perfetta idoneità per la solidità delle loro strutture, in modo da dare di per se stessi una sufficiente garanzia nell'eventualità, sia pure ipotetica, di attacchi aerei».
Dietro a un grande uomo non può che esserci una grande donna: Zea, la moglie di Rotondi, la cui complicità sconfina anche nell'eroica azione del salvataggio. «Mia madre era una bellissima donna, molto riservata, e mio padre l'aveva vista per la prima volta a lezione alla facoltà di lettere di Roma. Per conoscerla aveva organizzato uno scherzo molto originale al buio di un'aula, mentre un professore illustrava delle diapositive. Seduto dietro di lei, aveva prima simulato il rumore di un taglio con un paio di forbici, e poi aveva gettato una finta ciocca di capelli proprio vicino al suo posto. Le lascio immaginare lo sdegno di mia madre al riaccendersi delle luci… Se ne innamorò perdutamente, corteggiandola in ogni momento della sua vita, con i suoi modi burberi alternati a dolcezze improvvise, come regalarle fiori colti da lui stesso in montagna».
È un uomo tutto d'un pezzo, molto formale, soprattutto sul lavoro, e i pochi momenti affettuosi li regala con slanci istintivi, oltre che alla moglie, alle figlie e ai nipoti. «Una volta, durante un cannoneggiamento notturno di Urbino da parte di una nave statunitense, dovemmo rifugiarci nei sotterranei di palazzo Ducale. Appena al sicuro, cominciai a piangere a dirotto perché la mia bambola preferita aveva perso una scarpina. Mosso dalle mie grida disperate, mio padre tornò indietro riattraversando tutto palazzo Ducale per recuperare la scarpina, nonostante il buio e il rischio delle esplosioni, con grande sollievo per i timpani di tutti i rifugiati». Le difficoltà superate da Rotondi nella sua difficile operazione non distinguono ormai più tra storia e mito.
Si narra, per esempio, che abbia percorso a piedi una strada minata per non perder tempo ad aspettare un capitano statunitense che avrebbe dovuto scortarlo. Oppure giova ricordare, per ben comprendere il rischio corso, il clamoroso episodio in cui un ufficiale tedesco, entrato improvvisamente a palazzo Carpegna, apre il suggello di una delle tante casse contenenti opere nascoste dal soprintendente ai nazisti. Rotondi, inoltre, aveva asportato le etichette circa il contenuto delle casse proprio per non rivelarne la preziosità ai nazisti. La curiosità del tedesco, però, non è accompagnata dalla sua cultura e ciò non gli consente di riconoscere i preziosi manoscritti di Gioachino Rossini che definisce cartastraccia da bruciare…
Sebbene la seconda guerra mondiale si fosse conclusa in Italia verso la fine di aprile del 1945, il lavoro del soprintendente continua, almeno relativamente all'Operazione salvataggio, fino al 21 settembre 1946 quando, con toni sobri e concedendosi il solo vezzo di un punto esclamativo, scrive sul suo diario: «…le casse sono state restituite agli istituti proprietari. Le opere d'arte, liberate dagli imballaggi, sono state trovate tutte in perfette condizioni di conservazione. In questo modo si è chiusa oggi questa lunga pagina della mia vita di funzionario delle Belle Arti!». Aveva coraggio, il Soprintendente, ma anche l'uomo. Nel 1988 gli viene diagnosticato un tumore alla vescica e al medico che vuole operarlo, con conseguenze invalidanti, risponde: «Intero sono nato e intero voglio morire!».
Vivrà altri tre anni, programmando progetti come se dovesse viverne altri cento, fino a quando non verrà investito, nel 1991, da una moto mentre si recava al lavoro in Vaticano: un modo, seppur involontario, per non darla vinta alla malattia. «Vede, nel 2005 il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ci ha consegnato una medaglia d'oro alla memoria di nostro padre ma lui non si è mai considerato un eroe per il salvataggio delle opere d'arte in quanto era il suo compito, il suo dovere, la sua missione. Per questo mi ha insegnato come si vive, ma mi ha insegnato anche come si muore, affrontando coraggiosamente la malattia».