Poco più di una ventina di anni fa, l'Amministrazione comunale di Ceprano, in collaborazione con la Provincia, il Lions Club "Arce-Fregellae" e le Edizioni del Museo Archeologico di Fregellae, ristampò quello che può essere considerato il primo saggio storiografico della cittadina: "Il Ceprano Ravvivato". Di questo volume (che traccia la storia locale in maniera non sempre corretta ma con intento meritoriamente divulgativo), era stato autore, nel 1653, Antonio Vitagliani, uomo dal multiforme ingegno, che in vita dovette godere di grande notorietà e che sicuramente fece delle sue origini motivo di orgoglio (sempre aggiunge al suo nome la specificazione "Cepranensis" o "di Ceprano").

Medico di professione (nel frontespizio di una sua opera si dichiara "Doctoris Physici"), ma anche filosofo (in un'altra opera si definisce "Philosophiae ac Medicinae doctor"), è lui stesso a fornirci qualche ragguaglio biografico nella dedica, indirizzata al "Signor Gio. Francesco Cavallucci", anteposta al suo "Ceprano Ravvivato". Al suo benevolo mecenate (il cui nome doveva tutelare l'opera «dalle punte acute delle lingue mormoratrici»), Vitagliani scrive che l'opera storiografica è il «settimo parto del mio rozzo intelletto», e che era il frutto «di questo mio pennello quadragenario».

Insomma, nel dare alle stampe il "Ceprano Ravvivato" Vitagliani aveva quarant'anni e altre sei opere all'attivo. Ed in effetti, spulciando nei cataloghi ci si imbatte in altri titoli del nostro autore. Nel 1650 aveva pubblicato a Roma l'opuscolo "De abusu tabacchi", nel quale, raccogliendo tutte le informazioni (quindi con un approccio quasi scientifico), spiegava in un buon latino i danni da troppo consumo di tabacco (che all'epoca si sniffava).

Sempre in latino, nel 1645 ad Urbino, aveva pubblicato la "Historia S. Ardovini Angligenae de Ceperano". L'anno precedente, ancora ad Urbino, erano apparse le "Resolutiones Medicomoralegales", che il frontespizio dichiara essere un'opera di "casi pratici", in appendice ad un suo trattato medico (che purtroppo è irreperibile), "De Methodica Medendi Istitutione". Il latino è la lingua di un'altra opera medica: "Scholion ad Manelphicam decertationem, de parte affecta pleuritidis" (Roma, 1644). Che Vitagliani godesse di una grande notorietà e rispettabilità come scrittore è testimoniato dal fatto che tutte le sue opere sono sempre precedute da numerosi componimenti poetici, in cui amici e colleghi fanno a gara per esaltarne le qualità umane e letterarie. In una prossima puntata parleremo di uno di questi amici del Vitagliani, il suo concittadino Giovan Battista Caputi, musicista e compositore di opere liriche.

L'opera che qui ci interessa è una commedia teatrale, pubblicata nel gennaio del 1644 a Roma: "Gli amanti intromessi", che è interessante sotto vari aspetti. Innanzitutto il luogo di pubblicazione: il frontespizio afferma che la "comedia nuova del signor Antonio Vitagliani" venne stampata proprio a Ceprano. Qualche storico, però, suppone che in realtà, mancando qualsiasi altro testo stampato a Ceprano, la commedia sia stata edita a Roma, con il luogo di Ceprano (patria dell'autore).

La commedia – cinque atti in prosa chiaramente influenzati da modi e forme della commedia dell'arte – racconta le peripezie amorose di Florido e Armilla, rispettivamente figli del vecchio veneziano Filandro e del francese Hippolito. I due innamorati, spalleggiati dai servitori Zaccagnolino (bergamasco) e Masullo (napoletano), coroneranno alla fine il loro sogno. A far da contraltare comico ci sono non solo i piani delle invidiose zitelle Granditia e Armilla, ma anche le vicende del capitan Tronimonoceros e del suo servo Zizzalardone.
Un altro motivo di interesse è il fatto che, sebbene tutti i personaggi parlino in italiano, Masullo invece si esprime in dialetto.

Dialetto che, benché pretendesse d'essere napoletano, in realtà, a ben leggere, è una forma maccheronica mista di napoletano e ciociaro. Basti leggere il prologo, nel quale invita gli spettatori a «spaparazate ssè pertosa dell'aurecchie», perché «v'assecuro che nce aschiarite gusto». E gusto c'è sicuramente a leggere le «trasarie de na vaiassa perchiapetola, l'austutie triacate de serviture, li scacamarrune de no masto de scola, la poca pacientia de doe biecchie merdusielle, le streverie de no capetanio, e la muto poca honestate de doe zitelle che se srusciano e coccioleiano per chi manco le prezza». Venne mai rappresentata questa commedia? Probabilmente no: a leggere la dedica che l'autore premette al testo, il suo intento fu di pubblicare un'opera «innanzi le cortine delle lingue delli huomini», e quindi destinata sostanzialmente alla lettura. Per chi volesse saperne di più, tutte le opere di Vitagliani (tranne la commedia) sono liberamente scaricabili da Google Libri. Esistono due copie de "Gli amanti intromessi": una nella biblioteca Nazionale di Roma e l'altra nella Biblioteca Casanatense di Roma.