La vita di Martino Filetico, uno dei più insigni umanisti del Quattrocento "litteris graecis pariter et latinis pollentem", si lascia descrivere con una certa sicurezza. Nacque a Filettino intorno al 1430, cosa ribadita anche da una testimonianza di Giovanni Sulpizio da Veroli. Compì gli studi probabilmente a Ferrara – se dobbiamo dar credito a un epigramma del poeta ungherese Giano Pannonio, che a Ferrara era di casa – sotto la guida di Guarino Veronese (che lui stesso indica come "praeceptor meus Guarinus"), dal quale apprese (tra le altre materie) il greco.

Alla metà degli anni cinquanta del Quattrocento lo troviamo ad Urbino, dove ebbe (su raccomandazione dello stesso Guarino) l'incarico di fare da precettore ai figli di Federico da Montefeltro e di Ottaviano degli Ubaldini. Qui, oltre a tradurre dal greco gli Idilli di Teocrito, venne incaricato, come persona culturalmente più alta, di comporre l'elogio funebre di Gentile Brancaleoni, la moglie di Federico, morta nel luglio del 1457.
L'anno seguente, morti di peste i due discepoli, Filetico si recò a Pesaro presso la corte di Alessandro Sforza, per curare l'educazione della figlia Battista; durante questo soggiorno compose il carme De primis inventoribus litterarum. Accompagnando la nuova pupilla poté viaggiare a Roma, dove, senza particolare successo (alcuni lo definirono spregiativamente "greculum Filethicum"), presentò a Pio II una specie di "portfolio", con diverse composizioni poetiche e la traduzione del De laudibus Helenae di Isocrate.

Tornato ad Urbino quando nel 1460 Battista sposò Federico da Montefeltro, proseguì l'attività di "magister", componendo a scopo didattico il poema sulla storia romana De viris illustribus e l'incompiuto De poetis antiquis. Ma l'opera più importante fu il dialogo Iocundissime disputationes (1462), basato su tre giornate di conversazioni erudite tra il Filetico e i suoi allievi, Battista e il di lei fratello Costanzo, su argomenti di etica e sull'importanza del greco.

Nel 1467 Martino lasciò definitivamente Urbino per Roma. Qui entrò in contatto con l'ambiente culturale, cominciando ad insegnare presso lo Studium Urbis, e si dedicò alla stesura di alcune tra le sue migliori composizioni poetiche. Ottenne da Federico III i titoli di "eques", "poeta laureatus", e "comes palatinus", e, a dispetto degli attacchi di alcuni colleghi insegnanti, tenne apprezzatissimi corsi "monografici" su Giovenale, Persio e l'Ars Poetica di Orazio. Poi, forse a causa dell'accesissima rivalità nell'ambiente universitario, Filetico lasciò l'insegnamento nel 1483, ritirandosi a Ferentino, dove istituì una scuola, della quale è rimasta testimonianza attraverso documenti notarili. E a Ferentino sarebbe morto intorno al 1490.

Dunque: a Roma Filetico aveva tenuto, probabilmente nel 1471, un corso sull'Ars Poetica di Orazio. Come accennato nella puntata su Stefano di San Giorgio, la lunga epistola del poeta latino è, sulla falsariga della Poetica di Aristotele, una specie di manuale per la composizione di commedie e tragedie.
Uno dei suoi allievi più solerti, Mariano de Blanchellis, appuntò tutte le cose che il maestro diceva a lezione, tramandandoci così le idee di Filetico in ordine a quel che Orazio spiega su come si scrive un'opera teatrale. Gli attenti appunti del de Blanchellis sul lavoro ermeneutico del Filetico sono particolarmente preziosi. Siamo al termine di una stagione di studio dei classici, e appena un quindicennio prima dell'epoca in cui si sarebbero riproposte – a Roma, come in altre città – rappresentazioni di opere antiche.

Gli storici del teatro sanno che nel seno dell'Accademia Romana, fondata da Pomponio Leto, questi nel 1486 mise in scena l'Edipicus di Plauto, mentre, pochi mesi più tardi, Giovanni Sulpizio propose l'Ippolito di Seneca (nonché curò la stampa del De Architectura di Vitruvio con una lunga lettera al cardinale Raffaele Riario, patrocinatore di questi spettacoli). Ma questa storia la racconteremo un'altra volta.

Qui è importante evidenziare che l'interesse per il teatro classico di Filetico, che si accingeva a commentare l'Ars Poetica di Orazio, potrebbe verosimilmente aver avuto influenza su Giovanni Sulpizio e Pomponio Leto, che non solo erano suoi colleghi allo Studium (e perciò c'era un continuo e reciproco scambio di idee e di riflessioni), ma con i quali dovette essere in rapporti di sicura amicizia. Non a caso, la seconda edizione della Grammatica del Verolano (stampata nel 1481) è introdotta da componimenti poetici proprio del Platina, di Filetico e di Pomponio Leto.
Per chi volesse saperne di più, un profilo biografico esaustivo di Filetico è curato da C. Bianca per il 47° volume del "Dizionario Biografico degli Italiani"; il commento all'Ars Poetica di Orazio è attualmente inedito e si può leggere manoscritto, in versione digitalizzata, sul sito della Biblioteca Vaticana (Cod. Ott. Lat. 1256).