Il caso è stato propizio quando ho avuto il piacere di sfogliare cinque album fotografici realizzati di recente da Mario Palma, artista nato in provincia di Napoli ma, di fatto e affettivamente, frusinate. Incuriosito da sempre da ogni angolo della Terra che potesse catturare prima con la sua macchina fotografica e poi con i pennelli, l'artista ha dato di recente alle stampe la raccolta di immagini riguardanti i suoi viaggi in India, Etiopia, deserto del Sahara, Yemen e Turchia.

Quali sono le emozioni che la legano all'India?
«Fin da quando ho iniziato a viaggiare sono stato attratto e affascinato da questo Paese meraviglioso e l'ho sempre immaginato con mille colori, con città caotiche, con volti bruciati dal sole, costumi e sari damascati, infinite varietà di spezie e ragazzi provenienti da tutto il mondo per creare comunità hippy. La mia visita nel 2014 ha confermato tutto ciò che avevo visto nei documentari, nelle riviste e nelle brochure turistiche. Ma ho visto, anche, e mi sembrava di toccare con mano, la povertà, bambini che dormivano avvolti nei cartoni lungo i marciapiedi e persone che giacevano per le strade prive di vita. Emozionantissima è stata la navigazione sul Gange, dove ho potuto ammirare un'alba nel più completo silenzio e apprezzare una spiritualità indimenticabile e inconsueta».

Quali invece la legano all'Etiopia?
«Popolazioni che, a causa del loro isolamento geografico lungo la valle del fiume Omo, riescono a conservare le loro ancestrali tradizioni: questo mi incuriosiva moltissimo e, al contempo, mi preoccupava. Ma la cosa che più mi ha colpito, durante il mio viaggio nel 2011, è stato che per ogni scatto fotografico a un volto locale bisognava pagare qualche moneta. Piattelli labiali, vasi di terracotta sul capo, collane, scialli coloratissimi, pelli di capra e tanti altri ornamenti inducevano le donne a mettersi in posa e i bambini a contare abilmente ogni scatto per esigere poi il prezzo pattuito. Uno dei luoghi che più mi ha affascinato è stato il vulcano El Sod, nella cui caldera a venticinque metri di profondità c'è un lago nerissimo nel quale gli uomini di etnia borana, per pochi soldi al giorno, restano immersi per ore a estrarre sale nero particolarmente ricco di iodio. Dall'alto la visione è impressionante e incute timore, inquietudine, sensazione di vuoto e paura di sprofondare nel ventre della terra…».

Poi il deserto del Sahara…
«La domanda più frequente che mi veniva rivolta era sul perché fossi stato attratto, più volte, dal deserto, una distesa informe di sabbia rovente all'apparenza. E invece no, il deserto sono i siti archeologici, le pitture e le incisioni rupestri, le fresche serate intorno al fuoco provando a mangiare il cous-cous con le mani, i riti diversificati per tribù per la preparazione del tè, il sinistro ma affascinante sibilo del vento ascoltato dall'interno della tenda. Certo, la risposta più facile, e forse anche più di moda oggi, è che nel deserto ci si può ritrovare se stessi ma io ho preferito sempre andare alla ricerca dell'altro, di altri luoghi, di altre persone, di altre culture. E perdermi volutamente in queste cose…».

Yemen…
«Quando sono stato lì, nel 2005, ho avuto la "fortuna" di trovarmi a Sana'a nel periodo delle piogge e assistere a un curioso fenomeno urbano. Tutte le strade conservavano una leggera pendenza che convogliava le acque piovane nell'arteria principale della città che, in quel periodo, si trasformava in un vero e proprio fiume navigabile! E gli yemeniti approfittavano dell'occasione per organizzare feste, libagioni, danze e canti spontanei. Un'altra cosa che mi ha tristemente colpito, è stata l'abitudine degli yemeniti di masticare il qat, una sostanza di natura anfetaminica. Tale droga, diffusa anche tra i bambini, affliggeva il 75% della popolazione».

E per concludere, la Turchia...
«Sono stato diverse volte in Turchia ma il ricordo più affascinante, e allo stesso tempo più avventuroso, che conservo è stato il volo in mongolfiera, in Cappadocia. Dall'alto è stato possibile ammirare una vasta area modellata da numerosi eruzioni, composta da ceneri, pietra pomice e basalto compattati nel corso di millenni. La conformazione fisica, dovuta anche all'erosione causata dai venti, rende il paesaggio fantastico e suggestivo con guglie e pinnacoli naturali. Tra questi i "Camini delle fate", particolari torrioni tufacei rastremati verso l'alto sormontati da un cono dello stesso materiale, così denominati in quanto la leggenda narra che i massi sulla sommità sono stati posati nell'antichità da divinità celesti. Non a caso dal 1985 la Cappadocia è ufficialmente Patrimonio dell'Unesco».

La chiacchierata con Mario Palma volge al termine e saluta i lettori di Ciociaria Oggi con un aforisma che la dice lunga sulla sua ricerca e sul suo spirito esploratore mai domo: «I confini non sono limiti, ma tentazioni…».