Nel 1841 il bolognese Gaetano Giordani diede alle stampe un'inedita lettera di Ugo Boncompagni. La missiva, che il Boncompagni indirizzò al giurista umbro Fabio Arca (residente in Baviera), racconta delle feste per l'incoronazione di Carlo V ad imperatore nel 1530 a Bologna. La descrizione fornisce un ragguaglio sia della cerimonia vera e propria, presieduta dal papa Clemente VII, che dei festeggiamenti a corte, ai quali convenne la nobiltà di tutta Europa. La cerimonia, sfarzosa ma rigidamente codificata e dalle forme altamente simboliche e l'apparato grandioso delle feste (con sfilate, giostre, tornei equestri, musiche e danze) hanno una sicura valenza spettacolare.
Il Giordani, in una nota alla lettera, annuncia di aver pronto anche un altro scritto, relativo ai «trionfali ingressi nella città di Bologna del sommo Pontefice, e dello eletto Imperatore: si descriveranno le cerimonie fattesi all'incoronamento di questo, la pomposa cavalcata loro, col corteggio de' Duchi, Principi e Signori, i quali intervennero a rendere vieppiù magnifica e splendida quella celebratissima solennità; le altre feste che si fecero, e li diversi lavori di belle arti eseguiti in tale circostanza». Quel secondo volume, ben più ricco di dettagli, venne edito l'anno seguente.
Ugo Boncompagni era nato a Bologna nel 1502; aveva studiato giurisprudenza sotto la guida di rinomati giureconsulti, avviandosi a una luminosa carriera in ambito ecclesiastico. Carriera che gli permise di avere tra i suoi discepoli il futuro cardinale Carlo Borromeo e anche un giovanissimo Alessandro Farnese, passato poi alla storia con l'appellativo di "Gran Cardinale". Chiamato a Roma fu insignito di varie cariche: Pio IV nel 1565 lo fece cardinale; il 13 maggio 1572 il conclave lo creò papa, con il nome di Gregorio XIII.
Sicuramente fu uomo colto; accordò la sua protezione a tanti artisti e letterati (ma non agli attori, che anzi nel 1572 scacciò dai territori papali, permettendo recite alle sole Accademie e Confraternite); promosse la riforma del calendario, che infatti è detto "gregoriano"; ma non trascurò gli "affetti familiari". Negli anni del pontificato di Gregorio XIII, si svolse anche la vita (e la carriera) di Isabella Andreini. Costei fu una celeberrima attrice teatrale della Commedia dell'arte, moglie dell'altrettanto famoso Francesco Andreini. Di origine padovana, insieme al consorte recitò nella compagnia bolognese dei "Comici Gelosi", giungendo ad un'elevatissima professionalità, tanto da poter recitare davanti alle corti di mezza Europa.
All'interno del gruppo, in un'epoca in cui ciascun attore o attrice si specializzava in un ruolo (le cosiddette "maschere" della Commedia dell'arte), Isabella fu sostanzialmente l'inventrice del personaggio dell'Innamorata, protagonista di tanti canovacci. Avvenente e bella, fu lodata e osannata dal Tasso, da Giambattista Marino (che le dedicò alcuni sonetti) e da Gabriello Chiabrera (che la definì «saggia tra ‘l suon, saggia tra i canti»). La Andreini non fu soltanto attrice, ma anche scrittrice: compose un dramma pastorale, La Mirtilla, ad imitazione dell'Aminta di Tasso, lettere e frammenti vari, e soprattutto un gran numero di poesie, che pubblicò a più riprese (e con straordinaria fortuna) agli inizi del Seicento.
Questa grande attrice morì per le complicazioni di una gravidanza nel 1604, mentre ritornava da una trionfale tournée parigina. Benché, nonostante il favore popolare (e anche presso le corti) di cui godevano gli attori, su di essi gravava la scomunica, Isabella Andreini ebbe il privilegio di essere sepolta nella chiesa di Santa Croce a Lione (oggi purtroppo distrutta). Tempo prima, il 12 settembre 1579, mentre i "Comici Gelosi" erano impegnati in una serie di rappresentazioni tra Ferrara, Milano e la corte d'Austria, il pontefice Gregorio XIII acquistò il ducato di Sora e le relative dipendenze per 100.000 scudi d'oro da Francesco Maria della Rovere, per farne dono al suo figlio naturale Giacomo Boncompagni.
Giacomo ottenne l'investitura il 23 dicembre dello stesso anno da Filippo II ed è proprio dopo l'investitura che la Andreini scrisse per lui un sonetto (il LXVIII del suo canzoniere). La stessa dedicò un altro componimento anche alla di lui moglie, la duchessa Costanza Sforza Boncompagni (il LXIX). Le ragioni di queste dediche vanno cercate nel fatto che i due coniugi Boncompagni si distinsero per il particolare impegno nel campo delle arti e della cultura. Vedremo, in qualche prossima puntata, cosa e quanto hanno fatto Giacomo e Costanza (e altri Boncompagni) nel campo dello spettacolo teatrale. Intanto, chi volesse saperne di più su quanto detto può agevolmente trovare su Google Libri le opere pubblicate da Gaetano Giordani e le Rime di Isabella Andreini, e può consultare di C. Manfio, Isabella Andreini, una letterata in scena (ed. Il Poligrafo, 2014).