Gentile, ironico e moderatamente onirico: è Paolo Fiorini, artista frusinate, classe '92.
Cosa ti ha spinto ad intraprendere il tuo percorso da artista?
«Mi sono avvicinato all'arte da bambino. Ero dal pediatra quando ho visto per la prima volta le "polinesiane" di Paul Gauguin. Da lì è nato il mio amore per l'arte. Ero ancora un ragazzino quando ho iniziato a disegnare e poi a dipingere, ma condizionato un po' dalla società in cui viviamo che ci vorrebbe tutti uguali, con il famoso "posto fisso" come luogo sicuro in cui ripararsi, non pensavo che l'arte potesse essere effettivamente il mio futuro».
E poi cosa è successo? Qual è stato il momento di svolta? «Cinque anni fa la morte di un mio carissimo amico mi ha fatto capire che la vita è una, e a volte inaspettatamente breve, quindi ho intrapreso questa strada con decisione. E così, dopo un periodo da autodidatta, mi sono iscritto all'Accademia di belle arti di Frosinone».
Nelle tue opere si nota un grande interesse per i volti unito a quella che sembra essere quasi una lotta con i colori…
«Sì, in questo sono stato influenzato da Willem De Kooning e dall'Action Painting. Quando dipingevo ero molto istintivo. La mia gestualità era libera e spontanea. I volti erano quasi un'ossessione: li riportavo sulla tela con estrema immediatezza, quasi a non voler perdere le emozioni che mi guidavano nel processo creativo».
Perché parli al passato?
«Come fece Duchamp, sono in una fase in cui ho buttato via il pennello. Voglio servirmi di mezzi alternativi a quelli tradizionali per continuare a sperimentare soprattutto con la performance, le installazioni e il video. Adesso mi occupo di videoart».
Quali sono i tuoi modelli in questo campo?
«Ammiro molto Bruse Nauman, uno dei capostipiti della videoart, ma anche Bill Viola, ancora vivente, e Daniele Puppi».
In che cosa questa tua nuova fase diverge dalla precedente? Quanta improvvisazione c'è adesso? Quanto studio dietro?
«Frequentando l'Accademia ho capito che un concetto, prima di essere trasmesso, va strutturato. Per me l'arte è fatta di ossessione e studio: se prima ero solamente istinto, adesso studio, progetto e penso. Grazie alle possibilità espressive date dal video, con Alex Asavei, mio amico e collaboratore, tento di restituire dei piccoli frammenti di quello storytelling complicato che è la vita».
E quali sono le tue ossessioni? Che ruolo giocano nella tua ricerca continua?
«Sono un nostalgico irrequieto. Mi ossessiona la mancanza, come quella provata per due perdite davvero significative per me. Mi ossessiona la condizione umana, coi suoi limiti e le sue contraddizioni. Se sei ossessionato da qualcosa finisci per conoscerla totalmente. E così, in modo sempre diretto, ma oggi più mediato che in passato, grazie alla sperimentazione di nuovi medium, riesco a trasmettere i miei messaggi».
Immagino che la tua indagine sui limiti della natura umana implichi anche una certa tensione…
«Sì, hai detto bene. Ed è proprio con la tensione che tento di dialogare per poter comprendere le immagini che mi arrivano, da dove nascono e il mio modo di pormi in relazione ad esse, per poi restituirle attraverso l'arte. Soltanto la creazione artistica riesce a placare la mia irrequietezza portandomi in uno stato di calma, sempre apparente».
Cos'è per te l'arte oggi?
«Per me l'arte è passione, è la mia compagna di vita. È quella pulsione che mi guida nel concretizzare le mie idee. È il motivo che spesso mi spinge anche a scrivere di mondi altri, a scrivere poesie e racconti fantasy con la mia ragazza, Valentina Cestra, dando vita a un mondo parallelo».
Progetti futuri?
«Con il mio amico e collega, Daniele Amelio, ho intenzione di aprire una galleria d'arte a Frosinone: la "Cactus Gallery International". Vogliamo avvicinare questa città all'arte e con il collettivo di artisti, che abbiamo messo insieme per la mostra alla villa comunale di Frosinone, stiamo andando in questa direzione».