Il Museo di arte moderna Luigi Centra in contrada Villamagna di Anagni è una realtà straordinaria nel segno del riscatto del territorio dell'intera valle del Sacco. L'importanza della nascita nel nostro territorio del Museo di arte contemporanea Luigi Centra – iniziativa privata aperta al pubblico sotto la direzione dell'architetto paesaggista Antonio Centra – si colloca in una sensibilità innovativa nell'accezione del termine "periferia" spesso associato a differenti livelli di valori rispetto al centro urbano.

Il museo d'arte Luigi Centra si aggiunge tra l'altro, nel territorio di Anagni, alla già consolidata realtà del Museo della civiltà contadina dell'appassionato studioso Antonio Imperia ed è buon auspicio a ipotizzate iniziative pubbliche che potrebbero nascere in alcune aree sensibili come l'intorno dello storico edificio del Rotone nella località di Osteria della Fontana. Amante della natura e della bellezza umana, Luigi Centra è tra gli artisti europei che più si sono spesi, con gesti di solidarietà, contro la morbosità oncologica tra i bambini di Kiev dopo il disastro di Chernobyl, cosi come nel sostegno all'infanzia più povera dei paesi più sfortunati del globo.

Luigi Centra pittore, ribattezzato come "L' ultimo moikano della Pop-art americana" (Mantova 2016), è artista stravagante nello sposare e interpretare una corrente d'arte anglosassone - esplosa in America - divenendone ambasciatore in Italia e nel mondo. Frequentazioni del calibro di Mario Schifano e Mimmo Rotella chiudono idealmente il suo primario cerchio formativo ed esperenziale.

Maestro, lei ha girato il mondo. Oggi, qui nel suo Museo di Villamagna è a due passi da Carpineto Romano dove è nato e altrettanti da Veroli dove risiede; cosa riporta di più prezioso della sua esperienza esterofila a questi suoi più intimi luoghi?
«Quando si sta fuori dal proprio Paese la vita diventa complessa perché difficoltà ed emozioni si moltiplicano tra loro. Per me la soddisfazione più grande è quella di essere stato riconosciuto come l'italiano che più ha portato nel mondo l'arte americana degli anni cinquanta e sessanta: l'arte populaire, passata alla letteratura come la Pop-art».

Della carriera di un grande artista sempre si riconoscono i momenti più alti: sono scritti nei libri, raccontati nelle gallerie d'arte, sono nei musei. C'è stato un momento quando il suo apice più che guardare l'alto è piombato inaspettatamente verso il basso?
«Passaggi difficili, anche lunghi, sono nella vita tutti gli uomini. In quelli che fanno arte, forse ancora più degli altri. Lei mi chiede di un momento specifico ed allora non posso non ricordare la delusione provata per la mancata ammissione agli esami per l'iscrizione all'Accademia delle Belle Arti a causa dell'avanzata età. Oggi dico, quasi sorridendo, non mi ci hanno voluto ma ritengo davvero che il talento e la voglia d'imparare abbia poco a che fare con l'età anagrafica di una persona se la sua mente e il suo cuore sono già pervasi dai linguaggi dell'arte».

La Pop-art è considerata da alcuni come uno specchio del consumismo e la celebrazione della leggerezza. Secondo Lei che oltre ad essere affermato artista, è scrittore e poeta, qual è il suo vero volto?
«Una corrente artistica è sempre un fenomeno culturale complesso seppur con alcuni caratteri identitari. Nell'esigenza di sintesi, rispondo che essa, a mio parere, è nata più come denuncia del consumismo che non certo per la sua celebrazione. Nasceva in un periodo in cui il produrre valeva molto più del creare e questo per un artista non è mai entusiasmante. A volte, però, anche la stessa Pop-art è scaduta nel suo consumismo laddove alla parte creativa si è sostituita quella della riproduzione in serie che, in alcuni eccessi, ha contribuito anch'essa ad imbrattare il mondo».