Già dall'inizio del mese di ottobre del 1922 il governo nazionale guidato da Luigi Facta aveva mostrato tutta la sua debolezza mentre i capi dei vari partiti erano alla difficile ricerca di una soluzione della crisi con l'individuazione di un nuovo Presidente del consiglio. In quel contesto Mussolini, per far pesare la sua forza politica, convocò una grande adunata di tutte le organizzazioni fasciste d'Italia in occasione del Congresso nazionale del Partito previsto per il 24 ottobre a Napoli. Proprio in quell'occasione venne decisa la convocazione di una forte "mani - festazione"da tenere nella capitale nel giro di pochi giorni.

«O ci daranno il governo – gridò Mussolini ai congressisti – o lo prenderemo calando su Roma. Ormai si tratta di giorni e forse di ore». La minaccia di Mussolini portò Facta a dare le dimissioni il 26: si aprirono così giornate di confuse trattative tra i vari partiti governativi mentre il futuro duce decideva la mobilitazione delle squadre d'azione in tutte le città per la mezzanotte del 27 e il concentramento, dalla mattina del 28 ottobre, di tre colonne di fascisti: a Tivoli al comando di Giuseppe Bottai, a Monterotondo con Ulisse Igliori e a Civitavecchia con Dino Perrone Compagni. Solo una parte dei mobilitati riuscirà poi a raggiungere i luoghi previsti per il raduno perché il Prefetto e il Questore di Roma avevano dato ordini per l'interruzione delle linee ferroviarie che portavano a Roma e, anche, per le cattive condizioni delle strade a causa del forte maltempo che infuriava su tutto il Lazio.

Così descriveva la situazione lo storico inglese Christopher Seton-Watson: «Tutti erano male armati e privi di vettovaglie, ricoveri e mezzi di trasporto e fortemente depressi da una pioggia torrenziale, mentre gli uomini politici trattavano, le colonne di camicie nere, inzuppate di pioggia e affamate, continuavano ad attendere ordini». La partecipazione alla "Marcia su Roma" dei fascisti del circondario di Frosinone è stata rievocata in alcune pagine della "Storia della rivoluzione fascista"di Giorgio Alberto Chiurco, pubblicata nel 1929, nelle quali era anche riprodotto, integralmente, il rapporto sul concentramento delle forze fasciste del basso Lazio a Valmontone da parte del maggiore Fermo Gatti, comandante delle squadre partite dal frusinate. «Le squadre – ha scritto il Chiurco – nella notte dal 27 al 28, parte in treno, parte in camions, parte a piedi, raggiungono Valmontone ove era stato ordinato il concentramento, onde sorvegliare le provenienze da Napoli e Roma, sulla Casilina e sulla ferrovia».

In realtà nessun concentramento e nessuna permanenza erano previsti a Valmontone dove invece vigilavano, all'interno della stazione, un distaccamento del Genio ferrovieri e un certo numero dei Reali Carabinieri che bloccarono senza problemi la "marcia" dei fascisti del basso Lazio verso la capitale. Scriverà a questo proposito Antonino Repaci: «Non si rese necessaria l'interruzione perché i 1.500 fascisti giunti per ferrovia, in ottemperanza all'ordine del comandante, discesero volontariamente dal convoglio».

Il maggiore Gatti, stabilito il suo comando di piazza a Valmontone, divise le forze a disposizione in quattro Coorti, ovvero la Coorte di Velletri al comando del ten. Marcello Reboani, la Coorte dei Castelli comandata dal tenente Pietro Sansovetti, la Coorte del Prenestino con il tenente Luigi Ballanti e, infine, laCoorteCiociara posta in riserva alla diretta dipendenza del Comandante, il tenente Raffaele De Sio, su quattro centurie al comando di Magliocchetti di Frosinone, Gigli di Anagni, De Carolis di Fiuggi e De Sio di Ceccano.

Il "Rapporto Gatti" passava poi a elencare i partecipanti all'operazione provenienti da Frosinone e da altri centri del circondario: «I Fasci mobilitati della Ciociaria, che con organizzazione oculatamente predisposta dal segretario sub-federale dott. Ghislanzoni nella notte del 27 parte in camions per la via di Frosinone-Fiuggi-Genazzano, parte per la linea ferroviaria Ceprano-Frosinone-Segni (Colleferro), si concentrano a Valmontone, mettendosi agli ordini del Comandante; servono come semplici Camicie nere, prodigandosi per la riuscita dell'azione, il cav. Luigi Tolomei, il cav. Antonio Del Monte, il cav. Bertone, il conte Antonelli, Petricca, Argentino, Vona, M. Ferrari, A. Turriziani».

Il rapporto passava poi a descrivere alcuni aspetti dell'organizzazione militare dell'azione: «Le squadre nel riunirsi a Valmontone interrompono per quanto è possibile tutte le comunicazioni telefoniche e telegrafiche, occupano la Stazione ferroviaria e chiudono tutte le strade per garantirsi da ogni possibile sorpresa».
Il maggiore Gatti si soffermava poi, in particolare, sulle misure logistiche prese per sistemare i circa 4.000 uomini mobilitati nel settore: il Comando prese alloggio nel Palazzo Doria-Pamphili mentre la truppa trovò ricovero nei vasti granai della casa principesca.

«A Valmontone il servizio viveri – era scritto ancora nel rapporto – viene organizzato con buoni di prelevamento nelle osterie, il servizio cassa con sovvenzioni del Comune e di notabilità locali, ecc.; l'ambiente completamente antifascista tenta in primo tempo l'ostruzionismo anche per i viveri, ma gli ordini severi operano un salutare cambiamento». I cittadini di Valmontone, nella stragrande maggioranza organizzati in una forte Lega contadina, erano effettivamente antifascisti ma non sempre i numerosi scontri che si verificarono in paese in quei giorni con i "marciatori"ebbero motivazioni ideologiche: in realtà, essi furono quasi sempre causati dalla strenua difesa dei contadini, anche a fucilate, dei loro pollai dalle incursioni dei fascisti sempre più affamati.

«Il collegamento con Tivoli – continuava il rapporto di Gatti – è fatto dal ten. Carlo Mancia che in automobile traversò in quei giorni più volte la zona abbastanza pericolosa e ostile». In realtà Mancia, all'epoca segretario del fascio di Frosinone, non si limitò a tenere i collegamenti con il comando di Tivoli ma anche per raggiungere Frosinone con la sua automobile per raccogliere fra i notabili e i possidenti locali denaro e viveri necessari al soggiorno a Valmontone delle Coorti fasciste sempre in attesa di muoversi verso Roma.
Le squadre agli ordini del maggiore Gatti trascorsero tutta la giornata del 28 ottobre, data che sarà ricordata per tutto il "ventennio" come il giorno della "rivoluzione fascista", tra le cantine del palazzo Doria-Pamphili e le osterie di Valmontone alla ricerca di un riparo dal maltempo che continuava a infuriare. Il mattino del 29, arrivata da Roma la notizia dell'incontro tra il Re Vittorio Emanuele III eMussolini, il maggiore Fermo Gatti, volle lanciare dalla "piazza di Valmontone" il seguente proclama indirizzato agli "italiani della regione laziale": «A Voi il saluto fervente delle balde Giovinezze fasciste accorse all'appello dei capi per l'ultima battaglia della più grande Italia! I Fascisti concentrati nei punti strategici si dimostrano degni figli dell'Antica Roma per l'ordine perfetto, la disciplina ferrea e lo spirito più puro di abnegazione e di sacrificio».

La mattina del 30, quando Mussolini era già a Roma impegnato nella formazione del nuovo governo, fu permesso finalmente a tutte le colonne di dirigersi verso Roma dove arrivarono in parte a piedi e in parte su autocarri ma per lo più su treni speciali. Il giorno dopo, il 31 ottobre, le camicie nere sfilarono davanti al Quirinale, dove il Re si affacciò a salutarle. Anche i "marciatori" di Frosinone finalmente si erano mossi, via ferrovia, da Valmontone in direzione di Roma mentre molti altri, che non erano mai partiti da Frosinone per la "marcia", presero il primo treno del mattino del 31 ottobre per arrivare nella capitale in tempo per la grande sfilata e, quindi, poter rivendicare le benemerenze del regime negli anni a venire.

Pochi giorni dopo la "Marcia su Roma" il Parlamento nazionale concesse al governo Mussolini i pieni poteri, per un anno, per «attuare le riforme fiscali e amministrative e per limitare le funzioni dello Stato». Cosa s'intendesse per "riforme" e "limiti all'attività statale" fu reso subito evidente dai primi provvedimenti del Consiglio dei ministri. Si decise, infatti, la cessione della rete telefonica a condizioni favorevolissime ai privati, l'abolizione del monopolio statale delle Assicurazioni, la soppressione del blocco degli affitti e la riduzione del 16 per cento del personale delle Ferrovie dello Stato. Fu soppresso, poi, il Ministero del lavoro mentre vennero accantonati i progetti di legge per l'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione e le misure per un fisco più giusto introdotte nel 1920 dal governo Giolitti e, infine, venne sciolta la Commissione d'inchiesta sui profitti di guerra, anch'essa introdotta da Giolitti due anni prima.

Uno dei primi punti del programma economico esposto da Mussolini era il perseguimento del pareggio di bilancio. Come si volesse raggiungere tale obiettivo fu chiaro quando nella prima riunione del Consiglio dei ministri, il 1° novembre, si incominciò a parlare del ritorno al privato di altri pubblici servizi e della privatizzazione delle Ferrovie dello Stato. Un'altra scelta indicativa, la nominatività dei titoli azionari, venne accolta con soddisfazione dagli ambienti finanziari e dalla Confindustria perché ogni "azione" da nominativa diventava "al portatore" e quindi al riparo da ogni controllo fiscale. Da parte sua anche la Confagricoltura gradì da subito le scelte del nuovo governo: innanzitutto per la nomina di un suo associato al Ministero dell'Agricoltura che, come primi atti, fece sospendere la facoltà data ai Prefetti di decretare la concessione delle terre incolte o abbandonate ai contadini e concedere l'aumento dei canoni d'affitto per i locatari dei fondi rustici.

Anche la Chiesa ebbe la sua parte di soddisfazioni dall'appena nato governo Mussolini: da subito riapparvero, su richiesta del Vaticano, i crocifissi nelle scuole e nei tribunali e, successivamente, venne ripristinato l'insegnamento obbligatorio della religione cattolica nelle scuole elementari che era stato abolito nel 1877, fu poi aumentata la congrua dei parroci e dei vescovi grazie al raddoppio del contributo statale mentre i seminaristi venivano esonerati dal servizio militare e nominati i cappellani militari. Chi non aveva, invece, motivi di soddisfazione e di gratitudine nei confronti del governo erano i lavoratori che videro l'indice dei salari reali nell'industria, per esempio, scendere dell'11 per cento tra il 1921 e il 1924, come avvenne, per esempio, anche per i cartai di Guarcino, Ceprano e Anitrella.

Così come nessuna riconoscenza per i nuovi governanti poteva essere espressa dai ferrovieri e dai postelegrafonici colpiti a più riprese da licenziamenti di carattere politico, da tutto il ceto impiegatizio, pubblico e privato, sempre alle prese con i continui aumenti del costo della vita e, infine, dai contadini che, oltre ad essere ancora oggetto della violenza squadrista e della repressione poliziesca, vedevano allontanarsi definitivamente tutte le conquiste contrattuali degli anni del "biennio rosso".

A Frosinone intanto il 19 dicembre si riuniva, per l'ultima seduta del 1922, il Consiglio comunale con la presenza di soli 16 consiglieri su 30. In apertura dei lavori il sindaco Gizzi fece verbalizzare la seguente dichiarazione relativamente alla nuova situazione politica italiana: «Da ultimo il Sindaco dice che quantunque la Giunta intende fare dell'Amministrazione con criteri paesani e di giustizia, non può non ricordare come si sia realizzato in questi ultimi mesi l'avvento al potere di un Governo dell'Italia di Vittorio Veneto e degli ex combattenti. Il nuovo Governo di Mussolini si è manifestato un governo di azione e di energia. Importanti sono già gli effetti prodotti all'estero come il Governo ha anche assunti impegni coraggiosi con l'interno. L'Italia che marciava verso la rovina guarda con fiducia a questo Governo; verso il quale esorta la popolazione di una onesta obbedienza».