Il 13 settembre del 1870, a mezzogiorno, il generale Diego Angioletti, comandante delle truppe italiane entrate a Frosinone dopo aver risalito l'attuale Viale Napoli, stabilì il suo quartiere generale nel Palazzo della Delegazione Apostolica (attuale Prefettura) da dove, la sera precedente, era partito, in tutta fretta, in direzione di Roma il delegato pontificio monsignor Pietro Lasagni.
Una settimana dopo, il 20 settembre, l'esercito italiano, dopo aver accerchiato Roma e aperta a cannonate una breccia a Porta Pia, entrava nella città eterna ponendo così fine al secolare potere temporale dei Papi. Intanto a Frosinone il colonnello del 32° Reggimento di Fanteria, G. Lipari, che aveva assunto dal 14 settembre l'ufficio del Comando militare della provincia di Frosinone, il 22 settembre insediava nel palazzo della ormai ex Delegazione apostolica, una Giunta comunale provvisoria composta dai "patrioti" Nicola Marchioni, Filippo Simeoni e Giuseppe Sodani che resteranno in carica fino alle elezioni amministrative già previste per il mese di novembre.
Il 2 ottobre, intanto, i frusinati vennero chiamati alle urne per pronunciarsi sull'annessione della città al Regno d'Italia: la consultazione interessò una percentuale di iscritti alle liste elettorali pari a circa il 25 per cento della popolazione cittadina mentre gli elettori effettivi risultarono l'82,41 per cento di essi, cioè sui 2.559 iscritti furono in 2.109 ad esprimersi, all'unanimità, per il "Sì" all'adesione al Regno d'Italia. Il 13 novembre, a due mesi esatti dalla liberazione si tennero le prime elezioni per eleggere il Consiglio comunale di Frosinone "italiana": gli elettori iscritti nelle liste per l'amministrazione cittadina erano circa 650 a fronte dei 2.559 per quelle del Plebiscito: la notevole differenza era dovuta ai requisiti più fortemente selettivi richiesti: 21 anni d'età, saper scrivere almeno il proprio nome e pagamento di imposte dirette e comunali per non meno di 25 lire.
Le elezioni comunali, che si svolsero in maniera del tutto tranquilla, videro, alla fine, eletti Luigi Ciceroni, Leopoldo Cioccolani, Nicola De Angelis, Giovanni Battista De Santis, Domenico Diamanti, Giovanni Battista Grappelli, Carlo Kambo, Nicola Marchioni, Giacinto Narducci, Vincenzo Orlandi, Vincenzo Passerini, Eugenio Pesci, Gaetano Pesci, Francesco Ricci, Filippo Simeoni, Giuseppe Sodani, Francesco Tagliaferri, Cesare Tesori, Cesare Troccoli e Filippo Turriziani. Nessuno degli eletti era in qualche modo riconducibile al precedente regime: il solo Nicola Marchioni, che aveva già fatto parte dell'ultimo Consiglio comunale dell'epoca pontificia, tornò a essere candidato ed eletto perché, clandestinamente, negli ultimi anni del potere pontificio, aveva«da impiegato delle Poste in questa qualità resi dei buoni servigi al partito d'azione».
A Frosinone, a differenza degli altri centri del circondario, il vecchio ceto dirigente legato al potere pontificio non aveva partecipato alle elezioni amministrative e, quindi, il primo Consiglio comunale risultò composto, esclusivamente, da esponenti democratici e liberali che, in passato, per le loro battaglie contro il regime clericale e la loro partecipazione alle imprese garibaldine e ai moti mazziniani, avevano conosciuto le prigioni pontificie o erano stati costretti ad anni di esilio o all'emarginazione dalla vita politica e amministrativa cittadina. Quello di Frosinone fu certamente un risultato anomalo rispetto al resto del Circondario e dell'intero Lazio dove, eccetto a Roma e in poche altre amministrazioni, i clericali si erano imposti in tutti i Comuni. Ma l'omogeneità politica dei venti consiglieri di Frosinone era del tutto apparente in quanto erano presenti fra essi, oltre a forti rivalità personali, anche differenti opzioni politiche.
Il nuovo Consiglio comunale risultò diviso, infatti, secondo la stessa classificazione riportata nelle carte prefettizie, in liberali-progressisti e liberali-moderati, che trovarono nelle due personalità più forti fra gli eletti nel Consiglio, Domenico Diamanti e Francesco Ricci, i loro punti di riferimento sia politici che amministrativi durante tutti i primi anni di vita municipale della città dopo l'unità d'Italia. Domenico Diamanti guiderà per anni la maggioranza consiliare mentre il Ricci capeggerà la minoranza: i seguaci del primo erano fra quelli che più coerentemente e costantemente avevano combattuto il potere temporale della Chiesa fino, in non pochi casi, a conoscere il carcere e l'esilio, mentre gli altri, a volte, erano scesi a compromessi con le autorità pontificie.
All'indomani del voto amministrativo del 13 novembre del 1870 la maggioranza dei consiglieri di Frosinone era orientata a chiedere al Commissario regio Rinaldo Albini di segnalare, per la nomina del re a primo sindaco della città dopo l'unità d'Italia, l'avvocato Domenico Diamanti, nativo di Veroli ma cittadino frusinate d'elezione, che era appena rientrato dal suo secondo esilio in Egitto. La divisione del Consiglio comunale in due schieramenti contrapposti, progressisti e moderati, rendeva però difficile quella nomina tanto che il Commissario regio così scriveva, il 9 dicembre del 1870, in un suo lungo rapporto alla Luogotenenza: «Il Consiglio di questo Comune è diviso malauguratamente in due partiti. Quello che prevale ha desunto dal suo seno la Giunta municipale, cosicché la somma degli affari trovasi concentrata nelle mani di questa maggioranza. Questa desidera a suo Sindaco il Consigliere Domenico Diamanti che fu già candidato alla Deputazione nazionale, vivamente sostenuto in questa città. Del partito contrario sarebbe sopra ogni altro adatto a simile ufficio il Consigliere Francesco Ricci, Consigliere Provinciale, persona fornita di pratiche cognizioni amministrative ed onesta, ma è certo che il sig.Ricci dovrebbe lottare con moltissime difficoltà, che deriverebbe l'unità d'Italia. Sebbene io abbia delicatamente dimostrato che la mancanza del Sindaco non può e non deve recar pregiudizio al buono e regolare andamento dell'Amministrazione comunale, essendo che la Legge ampiamente provvede alla evenienza di tale mancanza, e per quel difetto non arresta l'impor tante lavoro assegnato dalla Legge alla rispettiva competenza della Giunta Municipale e del Consiglio Comunale».
Alla fine il Commissario regio, pur essendo politicamente schierato con la parte più moderata del Consiglio, dovette riconoscere che solamente Domenico Diamanti avrebbe potuto avere il gradimento di tutta la Giunta municipale, della gran parte degli eletti e della maggioranza dei frusinati. Proprio per queste ragioni Albini, alla fine, ritenendo che l'avvocato Diamanti fosse la persona più adatta a guidare l'Amministrazione comunale così comuni cava alla Luogotenenza romana: «Per dare esecuzione alle deliberazioni del Consiglio a questo riguardo, trattandosi di dover preparare progetti, e iniziare pratiche per un prestito, occorre l'opera di un Sindaco energico, bene viso alla maggioranza, non legato da idee troppo grette, perché insieme al far bene occorre anche far presto, onde supplire ai radicali difetti che si verificano in questa città».
Finalmente, alla fine del mese di gennaio del 1871, Domenico Diamanti, una delle figure più importanti del Risorgimento italiano espresse dalla Ciociaria, ricevette la nomina regia a sindaco di Frosinone. Così sarà tratteggiata, qualche tempo dopo, la figura del Diamanti da parte di Aristide Salvatori sul suo giornale, "Il Lampo": «È una bella personalità, uno tra' migliori cittadini che vanti il nostro Circondario; uno di quei pochi insomma che affermassero con ventidue anni di esilio e con una lunga serie di fatti operati, il suo culto alla patria, il suo amore all'umanità. Non isfornito di pratiche cognizioni amministrative, onesto fino allo scrupolo, esso è un uomo di cui ogni municipio dovrebbe onorarsi avendolo capo».
Domenico Diamanti, primo sindaco della città dopo la fine dello Stato pontificio e cittadino d'adozione di Frosinone, era nato a Veroli il 10 marzo 1812 da Erasmo e Maddalena Cialli. Dopo essersi "laureato" a 16 anni in Eloquenza e Filosofia nella città natale, si trasferì a Roma per studiarvi Giurisprudenza. Durante i primi anni di Università si affiliò alla "Giovine Italia" entrando in relazione con i più attivi mazziniani della capitale. Fu tra i fautori dei moti rivoluzionari del 1831 a Roma, per cui fu arrestato e scontò diversi mesi di carcere. Appoggiò poi i moti romagnoli di Genova e della Savoia del 1843-44. Nel 1848 si stabilì a Frosinone con la moglie Carolina Morelli, dalla quale aveva avuto un figlio, Emilio, nel 1839, e qui esercitò la professione legale. Nello stesso anno con il Battaglione di volontari "Campano" (o "Frosinonese"), da lui stesso organizzato insieme al frusinate Giampietro Guglielmi, combatté nella prima guerra d'indipendenza come capitano della 4ª Compagnia del Battaglione a Cattolica e alla Montagnola, rimanendo ferito a un ginocchio.
Prese anche parte in quell'anno alla sommossa popolare che riconquistò Bologna occupata dagli austriaci del generale Welden. Tornato a Frosinone nel 1849, fu eletto deputato alla Costituente romana in rappresentanza della provincia di Frosinone con 2.806 voti e fissò la sua residenza a Roma, dove fu tra quelli che con la scure atterrarono la porta del ghetto ebreo. Il Triunvirato gli affidò il Commissariato straordinario con i pieni poteri per la provincia di Campagna e Marittima e il compito di organizzatore di corpi armati per la difesa della Repubblica romana. Combatté a Roma e a Velletri rimanendo più volte ferito. Caduta la Repubblica romana prese la strada dell'esilio e si rifugiò prima a Smirne (Turchia) e poi ad Alessandria d'Egitto, dove rimase dal 1849 al 1867, lontano dalla moglie e dal figlio.
La reazione del potere pontificio si abbatté, allora, proprio sui suoi familiari rimasti a Frosinone fino a quando la moglie e il figlio, scampati alla distruzione della loro casa per opera di popolani istigati dal clero, raggiunsero il capo famiglia in Egitto. Nei luoghi del suo esilio Diamanti prima svolse lavori umilissimi per poi darsi all'arte medica e alla professione di avvocato. Intanto si adoperava per costituire comitati di emigrazione a Smirne, Atene, Costantinopoli, Siwa e Alessandria d'Egitto, allo scopo di aiutare gli emigrati politici italiani. La sua attività fu sempre osteggiata, però, dalla polizia austriaca. Durante tutti gli anni del suo esilio Diamanti si tenne sempre in contatto con i patrioti Nicola Fabrizi di Modena, Adriano Lemmi di Livorno, ma soprattutto con Mazzini e Garibaldi dei quali godé l'amicizia e la stima.
In quegli stessi anni Diamanti entrò nella Massoneria tanto che, nel 1866, risultava aver già ricoperto la carica di Maestro Venerabile della Loggia massonica "Nuova Pompeja" di Alessandria d'Egitto. Rientrato in Italia nel 1867, si fermò a Firenze per poi raggiungere Sora dove organizzò, a sue spese, un corpo di volontari impegnando i beni che possedeva in Frosinone per partecipare allo sfortunato tentativo garibaldino di quell'anno per la liberazione di Roma e del Lazio dal potere temporale dei papi. Combatté contro le truppe pontificie a Vallecorsa e sulle montagne di Trisulti per tornare, dopo la sconfitta di Mentana, per la seconda volta in esilio ad Alessandria d'Egitto.
Tornato in Italia subito dopo la liberazione di Roma, Diamanti fu accolto a Frosinone con grandi manifestazioni di simpatia da parte della cittadinanza che lo volle consigliere comunale della città diventata finalmente italiana. Candidato alle elezioni politiche del 1870 e del 1874 venne quasi unanimemente votato a Frosinone, ma fu battuto, per pochissimi voti, nel risultato complessivo del collegio elettorale dal verolano Giovanni Campanari. Diamanti, che era rimasto vedovo, con la nuova moglie di Frosinone Apollonia Tagliaferri, dalla quale aveva avuto due figli, tornò, questa volta volontariamente, in Egitto alla fine del 1876.
Ad Alessandria d'Egitto riprese la sua attività di avvocato e ricevette anche la cittadinanza onoraria. Qui morì all'età di 69 anni, il 3 marzo del 1881 assistito dalla moglie e dal figlio Emilio. Fu sepolto nel Cimitero Latino di Alessandria dopo solenni funerali che videro la presenza del Viceré d'Egitto, del Corpo diplomatico e di tutta la comunità italiana.