Sono passati solo quattro anni dalla fine della malaria nella Valle del Sacco quando gli amministratori del comune di Frosinone si trovarono ad affrontare con il colera una nuova grande emergenza sanitaria, alla quale dovettero dedicare il massimo dell'impegno per impedire che l'epidemia facesse vittime in città. La nuova epidemia, proveniente dall'Indocina, era arrivata nella tarda primavera del 1884 nei porti francesi di Tolone e Marsiglia da dove fu portata nel nostro paese dalle migliaia di lavoratori italiani lì emigrati che, rientrando precipitosamente in Italia per sfuggire al morbo, ne causarono la diffusione in quasi tutta la penisola dall'estate di quell'anno.

A Frosinone i giornali locali cominciarono a informare dell'avvicinarsi del colera già dall'inizio dell'estate del 1884; in particolare un giornale locale di tendenza liberal-democratica, "Il Censore", nella sua edizione del 29giugno di quell'anno, informava che «il "cholera"  sviluppatosi nella vicina Tolone si può dire alle porte d'Italia. Tutto fa sperare però che anche questa volta esse resteranno chiuse al terribile flagello; ma siccome le precauzioni non sono mai troppe noi esortiamo i cittadini tutti del Circondario a coadiuvare le autorità per l'esatta osservanza delle disposizioni per far sì da scongiurare il morbo, o nella peggiore delle ipotesi, tenersi pronti ad ogni evenienza».

Da parte sua il Comune cominciò, subito, ad affrontare la situazione predisponendo interventi straordinari per la "nettezza pubblica" e diffondendo una serie di ordinanze rivolte alla cittadinanza con prescrizioni tassative nel campo dell'igiene e dell'alimentazione. Il provvedimento più rilevante adottato nel campo della prevenzione fu, senz'altro, l'ordinanza emanata nei primi giorni di luglio dal Sindaco che «inculcava ai cittadini di fare entro venti giorni i cessi a fine di premunirsi anche da questo lato contro il morbo minacciante dalla Francia». Cominciarono, così, ad apparire sui balconi e sui terrazzini di alcune abitazioni del centro storico i primi "cessi", molti dei quali visibili ancora oggi.

Si trattava di piccole costruzioni in muratura di non più di un metro quadro con una finestrella per la luce e l'aria e con un buco sul pavimento dal quale scendeva un tubo di scarico destinato a immettersi nelle fogne che, però, in buona parte all'epoca erano mal funzionanti o non esistevano affatto. E non furono molti, però, i proprietari di case che si affrettarono a eseguire l'ordinanza comunale e proseguì, perciò, in gran parte dell'abitato, la pratica dei "getti" di escrementi e rifiuti di ogni genere sugli strati di paglia sistemati sotto le finestre. Questa insana consuetudine rappresentava un serio inconveniente per i malcapitati passanti ma costituiva una vera e propria risorsa economica per il Comune che dava in appalto la raccolta del letame e forniva al vincitore della gara un asino e un carretto di proprietà pubblica con cui trasportare lo "stabbio" in un campo nei pressi della chiesa di S. Gerardo dove i contadini potevano acquistarlo per concimare i loro campi.

Ai primi di luglio di quell'anno alcuni giovani, emuli dei protagonisti del "Decamerone" del Boccaccio, avevano voluto reagire alla pesante atmosfera che gravava sulla vita cittadina organizzando una serie di "divertimenti serali" per la gioventù di Frosinone. La data scelta per il primo appuntamento era quella del 14 luglio, proprio il giorno in cui a Parigi e in tutta la Francia si sarebbe festeggiato l'anniversario della presa della Bastiglia: gli organizzatori della "serata", evidentemente, non potevano che far parte di quei giovani repubblicani e anarchici internazionalisti che, da qualche tempo, erano molto attivi nella vita politica e culturale cittadina. «Una comitiva di giovani di bel tempo – era scritto in un manifesto apparso in quei giorni sui muri della città – si propone di dare in questa stagione colerosa una serie di divertimenti serali lungo la Passeggiata della Via Nuova. Il primo di questi divertimenti avrà luogo lunedì 14 luglio alle 9 e 3/4 precise. Ci sarà da divertirsi parecchio. Le signore e le signorine che vogliono godere dello spettacolo, sono avvisate».

Qualche giorno dopo, nella sua cronaca cittadina un altro giornale, il "Ricciotti", nell'informare che era prevista per il 4 agosto un'altra "serata fiammeggiante" lungo la solita Passeggiata, fece intendere che non tutto, però, era andato liscio durante i "diverti menti" del 14 luglio. Infatti in una riunione degli organizzatori si era stabilito, all'unanimità meno uno, che nella nuova serata sarebbero stati banditi i "tric trac", i "razzi matti" e le "fontane a botto" perché "fatali per le gonnelle e mettono paura al bel sesso". La decisione era tesa, evidentemente, a tranquillizzare il "mondo muliebre" di Frosinone che era rimasto scioccato perché, a causa dei giochi pirotecnici maldestramente accesi nella prima edizione della festa, avevano preso fuoco alcune sottane ed erano così rimaste scottate le gambe di molte delle gentili partecipanti.

A metà agosto i giornali nazionali, insieme a quelli locali, diffusero la notizia che il colera aveva raggiunto diversi centri della provincia romana e che venivano segnalati diversi casi di contagio nella vicina provincia di Campobasso. A Frosinone, al fine di impedire la diffusione del morbo, venne allora predisposto un "cordone sanitario" attorno all'abita to, furono sospesi i mercati del giovedì e la fiera alla Madonna della Neve e venne ordinata la chiusura di tutte le scuole. Sempre nel mese di agosto, il Comune emanò altre disposizioni che vietavano di introdurre in città lane, stracci e "cose congeneri", di smerciare cocomeri, meloni, cetrioli e altri prodotti della terra e di lasciar "girovagare" le galline e altri animali domestici per le strade.

A due categorie di persone fu severamente interdetto di avvicinarsi alla città: gli arrotini, che notoriamente provenivano tutti dalla zona, ormai poco sicura, di Campobasso, e le cosiddette "veneri vaganti", in altre parole alle prostitute di passaggio, che erano solite esercitare la loro professione nei vicoli più bui del centro cittadino e, in particolare, sotto le arcate dei "Piloni". Il 19 di agosto la situazione sanitaria cittadina fu esaminata dal Consiglio comunale in un'apposi ta "seduta cholerica" nel corso della quale vennero presi altri provvedimenti in linea con le disposizioni governative e si discusse, animatamente, sull'entità dello stanziamento comunale necessario per affrontare l'emergenza. La proposta dell'Assessore al bilancio di investire la somma di 1.500 lire fu bocciata da diversi consiglieri timorosi che venissero imposte, così come era stato proposto, nuove tasse al ceto benestante cittadino.

Alla fine si riuscì a trovare la somma di sole 500 lire scovandola "nelle pieghe del bilancio". Il successivo 11 settembre il "Ricciotti", giornale dei repubblicani di Frosinone, così riferiva sul "transito" a Frosinone del re Umberto I diretto a Napoli, dove il colera infuriava in maniera spaventosa: «Il giorno 8 col treno delle 10 ant. fu di passaggio nella nostra Stazione S.M. il Re recatosi in visita ai colerosi a Napoli. Corsero ad ossequiarlo alla Stazione il Sindaco, la Giunta e molti cittadini con il Concerto in testa. Il treno reale passò come folgore, e i nostri cavalieri se ne rimasero con un palmo di naso!». I maggiorenti di Frosinone, già delusi per la mancata sosta del Re nella stazione del capoluogo del Circondario, andarono su tutte le furie quando appresero che il convoglio reale aveva preferito fare sosta in quella di Ferentino dove Umberto I aveva ricevuto gli omaggi, evidentemente più graditi, delle autorità di quel paese.

Lo stesso articolo annunciava, in quei giorni, che nei pressi della stazione ferroviaria di Frosinone, in seguito alle pressioni energiche della Commissione sanitaria, era stato impiantato un lazzaretto sotto la direzione del dottor Francesco Pellegrini e che vi era stato, anche, stabilito un servizio speciale di sorveglianza mentre, in tutta la città, veniva aumentato il personale per la "pubblica nettezza". Un'altra riunione del Consiglio comunale sulla questione del colera, anch'essa molto agitata, si tenne il 15 settembre. Dopo un'aspra discussione fra i consiglieri repubblicani e quelli monarchici sul testo di un ordine del giorno sul viaggio del Re a Napoli, toccò al consigliere Angelo Galloni accendere ancor più gli animi allorché rimproverò, con molta forza, il sindaco Tesori per aver permesso l'esposizione delle statue dei Santi Silverio e Ormisda all'interno della Cattedrale di Santa Maria, non tenendo in alcun conto delle conseguenze che ne potevano venire, dal lato igienico, dal momento che erano stati severamente proibiti i mercati, le scuole e ogni altra occasione di riunioni pubbliche.

La risposta imbarazzata del Sindaco non fece che esasperare gli animi. Il consigliere repubblicano Alessandro Fortuna, da parte sua, denunciò che il parroco di San Benedetto, don Luigi Antonucci, aveva, più volte, sostenuto nelle sue prediche dall'altare che «l'epidemia era un castigo di Dio contro le colpe di quei rivoluzionari dei liberali» e aveva, anche, esortato il popolo «a far preghiere e solenni numerose riunioni in chiesa». Fortuna riferì, infine, che don Antonucci aveva, pure, insinuato che «partiva dai Municipalisti l'opposizione ad esporre i patroni e che ciò era solo ottenibile con un contegno energico da parte della popolazione. Ciò – concluse il consigliere Fortuna – è istigazione alla guerra civile».

L'episodio non ebbe, poi, alcun seguito anche perché a Frosinone, nonostante le precarie condizioni igienico-sanitarie generali, il colera non aveva fortunatamente fatto vittime: i provvedimenti comunali e il "cordone sanitario" avevano, evidentemente, funzionato per cui, alla fine di settembre, quando sembrò che la situazione di allarme fosse terminata, fu lo stesso Consiglio comunale a chiedere alla Sottoprefettura la revoca della soppressione dei mercati «stante il rapido e sensibilissimo decrescimento del "cholera" in Napoli e dintorni». La fine dell'allarme colera impedì, tra l'altro, che facesse affari, anche a Frosinone, il sacerdote Giacomo Senati che nel suo bollettino "La propaganda della fede" annunciava di aver trovato «il vero rimedio contro il male al prezzo di L. 3 al cento per i grossisti e cent. 5 cadauno al dettaglio».

"Il Censore"del 26ottobre spiegava in cosa consisteva il rimedio del prete: «Un abitino di tela da attaccare alla camicia con il Sacro Cuore vivo fiammante, fra una corona di spine, sormontata da una crocetta ed all'ingiro la parola: "FERMATI!". Questa parola – concludeva il giornale – poi deve essere pronunciata parecchie volte al giorno, se si vuole che il colera resti fuori dal dazio, e in compenso di tanta fatica si avranno cento anni d'indulgenza accordati dalla buonanima di Pio IX». Alla fine di ottobre, dopo due mesi di sospensione, a Frosinone ripresero finalmente i mercati del giovedì e fu anche consentito lo svolgimento dell'annuale fiera di Santa Fausta alla Madonna della Neve. Ma il segnale più forte dell'avvenuto ritorno alla normalità fu dato, nei primi giorni del mese di novembre, dalla riapertura di tutte le scuole cittadine.

All'inizio del 1885 il colera, che continuava a colpire duramente in molte parti d'Italia, fortunatamente restava molto lontano da Frosinone e la vita cittadina andava lentamente riprendendo il suo corso. Comunque il persistere dell'epidemia colerosa, anche se lontana da Frosinone, teneva la popolazione e le autorità cittadine in uno stato di grande apprensione soprattutto per l'avvicinarsi della stagione calda. Ripresero, allora, e andarono avanti per tutto il 1885, le polemiche sviluppatesi già nell'anno precedente circa la costruzione dei "cessi" e la funzionalità dell'intero sistema fognario cittadino. Un nuovo giornale cittadino di tendenza massonica fondato proprio in quella estate del 1885 dall'avvocato Carlo Bianchini, "Il Progresso", riportando la cronaca del Consiglio comunale del 1° settembre, scriveva, di fronte all'ironica richiesta di diversi consiglieri: «Ora abbiamo i cessi… dunque si devono fare le fogne!», lo stesso relatore della Commissione sanitaria, il consigliere Alessandro Fortuna, dovette riconoscere che i "cessi" fatti costruire d'ufficio dal Sindaco «siansi fatti a casaccio, senza un piano stabilito, senza coordinarli a un sistema di fogne».

Nei primi giorni di novembre, mentre si continuava a considerare buona la situazione sanitaria di Frosinone, un altro giornale cittadino, "La Vespa del Lazio", di tendenza clericale, annunciava una vera e propria "invasione colerica" nella vicina Ripi con molti nuovi casi di contagio, in particolare nelle campagne dove i casolari abitati da persone ritenute infette venivano isolati dai Carabinieri. Questi fatti consigliarono alle autorità del Distretto militare di Frosinone di sospendere, dal 7 novembre, la chiamata alle armi dei giovani delle classi 1865 e 1866 per tutto il Mandamento. Il 12 dicembre lo stesso giornale annunciò che «finalmente anche tra noi è cessata l'infezione colerosa che pur tanto preoccupò e funestò il Comune. Il Lazzaretto è stato chiuso, sono riaperte le scuole e riattivato il mercato settimanale e la popolazione è ritornata tranquilla alle funzioni della vita».

Alla fine del 1886 l'epidemia di colera, che per quasi tre anni aveva imperversato in quasi tutte le province italiane, finalmente era finita. Il contagio aveva colpito, in modo particolare, la città di Napoli dove, alla fine dell'allarme, si contarono circa 8.000 morti e altre migliaia nelle province vicine mentre a Frosinone, fortunatamente, non fu registrata alcuna vittima: avevano funzionato bene, evidentemente, tutte le misure di prevenzione adottate dalle autorità comunali con la collaborazione attiva di tutti i frusinati.