Il complesso degli avvenimenti del 1922 determineranno a Frosinone, negli anni immediatamente successivi, una lunga serie di effetti politici e amministrativi a cominciare da una profonda crisi all'interno dei partiti della maggioranza consiliare del cosiddetto "Blocco antibolscevico". Infatti, la mattina del 29 gennaio 1923 apparve inaspettatamente, sui muri della città, un manifesto a firma del sindaco Pietro Gizzi con cui lo stesso annunciava la decisione di rassegnare le dimissioni dalla carica di primo cittadino. Così era scritto nel manifesto indirizzato "A tutti i cittadini di Frosinone": "I nuovi eventi politici maturati anche nella nostra città, nonché particolari condizioni di famiglia, mi impongono di rassegnare inesorabilmente le mie dimissioni da Sindaco". Così proseguiva il manifesto: "Nel ringraziare dal profondo del cuore voi che mi onoraste della vostra benevolenza, e quei cortesi che hanno riconosciuto nella mia opera una nota di impulso e di attività, pur assai dolente non poter presiedere al completamento di varie opere nelle quali ho versato cure amorevoli, faccio voti per la sempre crescente prosperità del nostro amato Paese". Lo sconcerto in città fu enorme anche perché non venivano spiegati i motivi veri che avevano portato il Sindaco a quella decisione. Cominciarono a circolare nella città varie ipotesi fra le quali, la più plausibile, rimandava a quanto era successo a Frosinone il 15ottobre dell'anno precedente in occasione della "grande adunata" del fascismo ciociaro.
Quel giorno, come abbiamo visto, gli squadristi di Frosinone e di altri centri del circondario avevano assalito per ben due volte i locali di proprietà del Comune, detti di S. Francesco, che ospitavano la sede della Camera del Lavoro con l'assenso dell'Amministrazione municipale. Il secondo assalto di quella giornata, in particolare, aveva portato alla completa devastazione dei locali e l'accaduto aveva spinto il sindaco Gizzi ad inviare, pochi giorni dopo i fatti, un telegramma al Sottosegretario di Stato all'Interno in cui si lamentava per «la violenza inutile compiuta locale sezione fascista colla invasione locali di proprietà questo municipio adibiti a Coop. e Camera del Lavoro. Elevo tale protesta con l'amarezza di chi fervidamente secondato seguito movimento fascista come rigeneratore vita pubblica italiana». Negli stessi giorni partì da Frosinone un telegramma del locale Direttorio fascista, direttamente indirizzato a Mussolini, in cui si contestava l'iniziativa del primo cittadino che così affermava: «La protesta sindaco Frosinone non è coerente suo atteggiamento precedente. Atto compiuto sezione fascista risponde a disciplina e senso di responsabilità». La questione dei locali comunali devastati era la causa reale, quindi, della profonda frattura fra l'avv. Gizzi e il fascio locale. La decisione del sindaco Gizzi di dimettersi aveva preso di sorpresa anche i membri della stessa Giunta comunale che, per un immediato esame della situazione, si auto convocarono il 1° del mese di febbraio. In quella riunione l'assessore Francesco Antonio Alviti, per l'occasione sindaco facente funzione, informò i suoi colleghi presenti Agostino Gallina, Edmondo Vivoli, Mario Marini e Salvatore Minotti che «con lettera del 29 gennaio u.s. il cav. Avv. Pietro Gizzi ha dichiarato di essere costretto a rassegnare le sue dimissioni dalla carica di Sindaco per condizioni personali e di famiglia; che in data 30 gennaio gli faceva tenere una risposta per persuaderlo a recedere dalle dimissioni».
Dopo un'ampia discussione gli assessori deliberarono di chiedere al Sindaco di intervenire ad una nuova riunione di Giunta fissata per il 3 febbraio per chiarire ai colleghi le reali ragioni della sua inaspettata determinazione. Nonostante il pressante invito Gizzi non si presentò alla riunione consiliare e il 7 febbraio la Giunta comunale si riunì nuovamente, presenti sempre gli assessori Alviti, Gallina, Vivoli, Marini e Minotti, per un esame della situazione venutasi a creare. In quella occasione gli assessori Alviti, Gallina, Vivoli e Minotti, dopo aver dato atto che lo stesso Gizzi riconosceva «al Partito fascista il grande merito di aver salvato la nazione dalle mire dei senza Patria e dalla dissoluzione bolscevica», dichiaravano essere però necessario rassegnare le loro dimissioni. Prendeva allora la parola l'assessore Marini per dissentire esplicitamente dalla forma e dalle considerazioni esposte dai suoi colleghi e per protesta abbandonava la seduta seguito da Minotti che si era detto d'accordo con la posizione espressa dal suo collega.
Dall'intervento di Gallina si compresero ancora meglio le ragioni della decisione di Gizzi e dei suoi più stretti collaboratori: essi accettavano sì le finalità del Partito fascista ma dissentivano sul "metodo di lotta" di esso.
Gallina aggiunse, infine, di «essere del parere che la politica deve esulare dalle Amministrazioni comunali; per essere fatta nei circoli e nelle sezioni di partito». Alla fine vennero accettate le dimissioni di Alviti, Gallina, Vivoli e respinte quelle di Minotti; restarono quindi in carica solamente l'assessore effettivo Mario Marini e gli assessori supplenti Antonio Rea e Salvatore Minotti.
Nonostante il voto del Consiglio, Pietro Gizzi confermò ancora le sue dimissioni e la Giunta comunale il 1° marzo convocò il Consiglio comunale per l'8 marzo con all'ordine del giorno l'elezione del nuovo sindaco e di tre assessori effettivi in sostituzione dei dimissionari. A quella riunione si presentarono solamente Mario Marini e Pietro Antonucci. Seguirono altre tre convocazioni del Consiglio comunale, il 12, il 18 e il 24 marzo, alle quali si presentò il solo Mario Marini. Nei giorni successivi anche i 16 consiglieri della maggioranza presentarono le loro dimissioni e, visto che da tempo i dieci eletti social-comunisti avevano lasciato il Consiglio, ne restarono in carica solamente quattro. Il Consiglio comunale venne quindi sciolto e Mario Marini guidò l'Amministrazione in attesa dell'arrivo del Commissario prefettizio nella persona, si augurava la stampa vicina al Governo nazionale, «di uno dei maggiori responsabili del Partito fascista della nostra regione». L'impraticabilità di una qualsiasi soluzione positiva alla crisi amministrativa del Comune di Frosinone spinse la Prefettura di Roma a nominare, a partire dal 17 aprile, un suo funzionario, Ernesto Pellegrini, quale Regio commissario prefettizio della Città. Il provvedimento così venne annunciato da un periodico romano diffuso anche a Frosinone: «Il Commissario Prefettizio avv. Ernesto Pellegrini ha avuto la consegna degli uffici dal ff. di Sindaco sig. Mario Marini.
Il Commissario ha rinunciato ad ogni indennità e ha promesso di affrontare la soluzione dei più importanti problemi cittadini: l'Edificio scolastico, l'assestamento dell'Istituto tecnico e l'inaugurazione del Monumento ai Caduti».
Pellegrini durante la sua permanenza a Frosinone, che cessò l'8 agosto del 1923, si interessò alla revisione del regolamento per le affissioni, allo sviluppo del servizio automobilistico fra la città e la Stazione ferroviaria e alla sistemazione di numerose strade cittadine. Seguirono le due brevissime gestioni commissariali di Antonio Turriziani, già segretario comunale di Frosinone, che ricoprì la carica dal 21 agosto al 24 settembre 1923 e di Umberto Velli, funzionario della Sottoprefettura, che resse il Comune dal 28 settembre al 13 ottobre dello stesso anno. Successivamente il 25 ottobre 1923 arrivò da Roma il funzionario prefettizio Raffaele Paladino, che restò a Frosinone fino al 14 febbraio 1924 affiancato, dal 30 gennaio, da Mario Marini come vice-commissario prefettizio. Durante i suoi cinque mesi di permanenza a Frosinone Paladino adottò provvedimenti per l'impianto di un Regio Istituto Tecnico nella città, elaborò un nuovo "Testo unico del Regolamento organico degli impiegati e salariati comunali", estese la pubblica illuminazione nelle contrade Fornaci al di là della ferrovia Roma-Napoli mentre, con uno dei suoi primi provvedimenti, aveva decretatola privatizzazione dei trentotto orinatoi cittadini fornendo a tutti i frusinati, dal 1° dicembre 1923, dieci biglietti gratis per le prime necessità. Ma sicuramente il lavoro più impegnativo per il commissario Paladino fu la complessa preparazione della visita del re Vittorio Emanuele III a Frosinone che ebbe luogo il 26 gennaio del 1924. Il 22 febbraio del 1924 la Prefettura di Roma nominò Commissario prefettizio di Frosinone Alberto Ghislanzoni, già noto ai frusinati per essere stato, dall'agosto del 1922 fino alla fine di quell'anno, segretario della sub-federazione fascista ciociara.
Una nomina squisitamente politica quella di Ghislanzoni che si caratterizzò per il costante ricorso ai fondi comunali per liquidare le spese delle organizzazioni fasciste cittadine per il fitto delle sedi, per la liquidazione di fatture per indumenti e targhe, per i rimborsi a favore dello stesso Ghislanzoni per i suoi viaggi e le sue partecipazioni a manifestazioni a Roma e nei centri del frusinate, per l'ospitalità dei dirigenti fascisti della capitale per comizi e cerimonie a Frosinone ecc. Altre spese a carico del Comune furono deliberate da Ghislanzoni in occasione di ricorrenze nazionali, commemorazioni della "Marcia su Roma", celebrazioni del 24 maggio e 4 novembre, per abbonamenti al "Popolo di Roma", all'appena nato giornale fascista cittadino "Ciociaria Nuova", per la confezione del labaro della 119ª Legione della Milizia Volontaria diSicurezza Nazionale (M.V.S.N.) e delle divise per i "balilla". Il 24 maggio del1924, infine, Alberto Ghislanzoni decise il conferimento della cittadinanza onoraria frusinate a Benito Mussolini e, nella stessa data, deliberò un contributo in denaro alla Federazione tra gli Enti autarchici del Lazio e della Sabina. Sul piano amministrativo il commissario Ghislanzoni creò l'Ufficio tecnico comunale fornendolo di un regolamento e, il 26 agosto1924, nominò l'ing. Edgardo Vivoli direttore dello stesso, istituì poi un servizio sanitario per Frosinone Scalo e per il territorio limitrofo, adottò un nuovo regolamento per la distribuzione dell'acqua potabile ai privati e per il servizio degli acquedotti comunali.
Alberto Ghislanzoni lasciò il suo incarico il 3 marzo del 1925. Il successivo 26 marzo tornò nuovamente al Comune, con l'incarico di Commissario prefettizio, Umberto Velli che aveva già svolto, come abbiamo visto, quella funzione per alcune settimane alla fine del 1923. Fra le sue deliberazioni più rilevanti si registrarono la costruzione di una pubblica scalinata per congiungere Via Garibaldi con Via del Muro Rotto, il voto per la trasformazione delle Reali Scuole complementari in RR. Istituti Tecnici Inferiori, il concorso del Comune alle spese per il raccordo Stazione S. Antonio Carceri della linea Ferrovie Vicinali Frosinone-Fiuggi-Roma e l'impianto del Regio Istituto Tecnico a Frosinone. Il commissario Umberto Velli lasciò Frosinone il25settembre 1925. Dal 15 ottobre 1925 all'11 settembre del1926 ricoprì la carica di Commissario il funzionario prefettizio Steno Pelatti.
Come Ghislanzoni anch'egli adottò decisioni di carattere politico a partire dall'obbligatorietà del "saluto romano", in vigore dal 1° dicembre di quell'anno in tutte le Amministrazioni civili dello Stato con pesanti sanzioni disciplinari e sospensioni dello stipendio per i trasgressori. Pelatti decise, ancora, di dedicare il nuovo viale che conduceva al costruendo Edificio scolastico al "Salvatore dell'Italia" ma dopo che gli fu fatto notare dallo stesso Mussolini che risultava ancora in vita, ripiegò su "Viale Predappio". Pelatti caricò sulle casse comunali anche un contributo di lire 5.000 alla Federazione fascista Laziale-sabina a rimborso delle spese per il "Te Deum" per lo scampato pericolo di Mussolini in un attentato e, poi, spese varie per il comando della 119ª Legione della Milizia e la confezione delle divise per i "balilla".
All'inizio del 1926, poi, il commissario Pelatti fece elaborare un nuovo regolamento edilizio comunale e deliberò l'acquisto di una zona di terreno per la costruzione di un edificio scolastico a Frosinone Scalo, l'istituzione dell'Ufficio legale comunale affidandone la direzione all'avv. Guido Imperi, la nomina provvisoria del maestro Direttore della Banda concertistica comunale e un nuovo regolamento della stessa, l'acquisto del mezzanino del Palazzo Berardi, l'approvazione del progetto per la costruzione dell'edificio scolastico nella frazione di Frosinone Scalo, i lavori di consolidamento della Sede comunale, il concorso di Antonio Turriziani per l'istituzione di un Istituto tecnico intitolato a Norberto Turriziani, l'affitto dei locali per lo stesso Istituto in Via del Plebiscito, l'adesione al costituendo Consorzio per l'acquedotto di Capofiume, le nuove uniformi per le guardie municipali e per i musicanti della Banda concertistica. Dal 6 ottobre del 1926 alla fine dello stesso anno tornò a ricoprire l'incarico di Commissario prefettizio Antonio Turriziani che già aveva svolto la stessa funzione, per un brevissimo periodo, nel 1923. Tra i principali provvedimenti adottati dal nuovo Commissario il lancio di una sottoscrizione del Comune dell'importo di 15.000 lire per il Prestito Nazionale del Littorio e la soppressione di tutte le fontanine sparse per la città a causa della scarsità di acqua potabile.
Il 14 novembre Turriziani deliberò anche la nuova denominazione per il "Piazzale Vittorio Veneto", sino ad allora chiamato "Sotto le Carceri" e per la "Piazza della Libertà" che diventò, dal 13 dicembre di quell'anno, "Piazza VI Dicembre". L'ultimo provvedimento di Turriziani come Commissario prefettizio fu da lui adottato il 31 dicembre con lo storno dei fondi previsti in bilancio per le spese relative allo svolgimento delle consultazioni elettorali comunali. Infatti con le "leggi fascistissime", emanate tra il 1925 e il 1926, erano state eliminatele cariche elettive per gli Enti locali (Comuni e Provincie). Alla luce di quelle leggi, che avviarono la trasformazione dello Stato liberale nel regime fascista, non restava da fare altro che "accantonare" quei fondi perché a Frosinone, come in tutta Italia, di elezioni democratiche non se ne sarebbe più parlato per circa venti anni!