Era il 2001 quando un gruppo di amici fece irruzione nella scena musicale indipendente di casa nostra con il singolo "Supereroi contro la municipale", una hit che metteva in primo piano l'anima ska punk dei Meganoidi. A vent'anni dall'esordio e dopo sei album in studio, il gruppo genovese si conferma in ottima salute e continua a regalarci bellissime canzoni. In vista della loro esibizione di  stasera all'One M Fest di Isola del Liri, evento in cui suonerà anche l'ex C.S.I.
Giorgio Canali con I suoi Rossofuoco, abbiamo scambiato quattro chiacchiere con il cantante Davide Di Muzio e con il chitarrista/trombettista Luca Guercio.

Il primo maggio suonate a Isola del Liri. Conoscete la Ciociaria? Avete già suonato da queste parti in passato? «Avendo girato in lungo e largo l'Italia ci siamo passati alcune volte e la più recente che ricordiamo risale a qualche anno fa, eravamo stati ad Arce al "Murata Street Sound"».

Con il vostro ultimo album, "Delirio experience" uscito nel 2018, avete festeggiato i primi vent'anni di onorata carriera. Cosa rappresenta per voi un traguardo del genere?
«Rappresenta moltissimo perché dietro una band ci sono migliaia di dinamiche strane e complesse, come del resto esistono in qualunque gruppo di lavoro o familiare. Riuscire a farle funzionare pensando sempre a un obiettivo comune, in questo caso la musica, rappresenta un successo, perché è così che dovrebbe funzionare tutto. La voglia di sperimentare e soprattutto di non ripetersi disco dopo disco ha sempre caratterizzato i Meganoidi».

Quanto è stata importante in questi anni e quanto ha contribuito a rendere longeva la vostra carriera?
«Abbiamo sempre identificato nella composizione una caratteristica fondamentale, la libertà di uscire fuori dagli schemi. Non abbiamo mai sentito il bisogno di assicurarci un risultato seguendo linee guida consolidate, abbiamo sempre preferito rilanciare e rimetterci in gioco. Questo, sicuramente, ha nel corso degli anni creato degli anticorpi che ci hanno reso oltre che longevi, anche estremamente corazzati a tutto».

Com'è cambiata secondo voi la scrittura dei Meganoidi in questi anni? Quale prerogativa deve avere una vostra canzone, sia dal punto di vista dei testi che della musica?
«La scrittura è cambiata parecchio, perché è cambiato fondamentalmente l'obiettivo. Abbiamo iniziato a pensare sempre di più al prodotto finale, senza perderci troppo in fronzoli, e abbiamo abbandonato l'accanimento terapeutico, se così vogliamo ironicamente definirlo, sugli arrangiamenti in saletta. La prerogativa della nostra musica e dei nostri testi non è facile da spiegare, è fondamentalmente riconducibile ad una sorta di visione sartoriale. Facciamo finta per un secondo che i Meganoidi siano un fisico, nonbello enonbrutto, masemplicemente un fisico. Le nostre canzoni sono i vestiti, ci devono stare bene. Ed è per questo che i nostri pezzi sono molto vari, perché non ci piace vestirci sempre con la stessa canzone».

È faticoso essere Meganoidi e più in generale fare musica oggi?
«Non è mai stato facile, soprattutto per una realtà completamente autoprodotta come la nostra, ma sicuramente ogni periodo ha le sue difficoltà. Quando abbiamo iniziato era difficile realizzare un videoclip fatto bene a basso budget perché se si usava, ad esempio, la pellicola 16mm per avere un prodotto valido, i costi erano alti rispetto a quello che si può ottenere ora con il digitale. Insomma, come abbiamo appena detto, gli aspetti cambiano, quindi in realtà la fatica esiste nel momento stesso in cui non riesci ad individuarequali sianorealmente le cose importanti da fare quando arriva il tuo momento».

State già lavorando al prossimo disco?
«Abbiamo già diverse idee e a breve inizieremo a lavorare anche sui testi. Diciamo che l'obiettivo è proprio quello di iniziare a registrare nell'autunno 2019».

Avete vissuto il dramma del ponte Morandi da vicino. Cosa vuol dire, da genovesi, convivere quotidianamente con una simile tragedia?
«Il dramma del ponte Morandi ci ha devastati sotto diversi punti di vista. La nostra sala prove dista poche centinaia di metri in linea d'aria. Lo abbiamo percorso migliaia di volte ed era per noi il punto d'arrivo da ogni data perché lo prendevamo per ritornare a casa. Senza contare che noi singolarmente lo percorrevamo anche due o quattro volte al giorno perché a Genova quella era una delle due strade che collegavano la città. Un altro aspetto della tragedia è lo sguardo delle persone che hanno perso familiari, affetti, lavoro, attività commerciali e casa. Nel frattempo, ci stiamo a poco a poco risollevando.
Genova è sempre stupenda, come una bellissima donna un po' affaticata, ma sempre con un fascino irresistibile».