Ci sono eventi che lasciano segni indelebili nella storia di un paese, e che anche a distanza di anni, di decenni, o di secoli, sono ancora così fortemente impressi nell'immaginario del popolo che li ha vissuti da costituire, nel bene o nel male, un punto di riferimento, un esempio, un monito. La battaglia di Caporetto (che iniziò nella primissima mattina del 24 ottobre del 1917, e terminò, di fatto, circa quindici giorni dopo) non fu in assoluto la più sanguinosa della Prima Guerra Mondiale (probabilmente questo triste primato spetta infatti a quella di Verdun, in Francia, dove persero la vita circa 420.000 persone), ma fu certamente una di quelle che segnarono la storia d'Italia. Ed infatti, nel linguaggio comune, il nome dell'omonima conca – situata all'incrocio tra l'Isonzo, la valle del Natisone, ed a ridosso del massiccio del monte Colovrat - è sinonimo di disfatta, di tracollo, di rotta.
Tra le tante iniziative editoriali che stanno celebrando il centesimo anniversario di quel drammatico evento bellico, segnalo, con molto piacere, il bellissimo saggio di Alessandro Barbero, intitolato semplicemente "Caporetto", edito da Laterza (646 pagine). Il libro dello storico piemontese ci illustra, con una dovizia di particolari impressionante, e con una lucidità di analisi davvero non comune, i presupposti storici, politici e militari della famosa battaglia, ed i molteplici motivi per i quali il Regio Esercito Italiano finì per soccombere di fronte alle truppe nemiche. Barbero prova a fare luce, e ci riesce, su uno dei momenti più bui e sanguinosi della nostra storia recente (nel corso della battaglia, infatti, morirono 40.000 soldati e ben 260.000 vennero fatti prigionieri). Leggendo il libro ci si rende conto che le ragioni della terribile sconfitta furono molteplici.
Tra di esse, spiega l'autore, particolare rilevanza ebbe la notevole differenza qualitativa che esisteva tra gli ufficiali dell'esercito tedesco (preparati, capaci ed astuti, e tra i quali militava anche un giovane tenente chiamato Erwin Rommell…), e quelli italiani(in buona parte superficiali, presuntuosi ed inadeguati).
Barbero descrive e sintetizza mirabilmente questo aspetto: «C'è una retorica parolaia, tipicamente italiana, che domina il comando dell'esercito e la guida del paese». A ciò si aggiunse poi anche un'esasperata burocratizzazione del nostro apparato militare, peraltro ben conosciuta anche dagli stessi soldati (i quali solevano ironizzare in questo modo: «Non eseguire mai un ordine se prima non è arrivato il contrordine»). Tale scellerata macchinosità decisionale, a Caporetto, incise in maniera determinante sull'utilizzo dell'artiglieria italiana. La quale non solo era stata mal posizionata sul terreno dai nostri strateghi, ma non venne nemmeno utilizzata al meglio in quanto nessuno si assunse, al momento opportuno, la responsabilità di agire prima di aver ricevuto precisi comandi dall'alto. Barbero smentisce poi anche alcune radicate convinzioni storiche. Molti hanno sostenuto che l'esercito italiano perse quella battaglia perché il nostro Stato Maggiore venne colto di sorpresa dall'attacco sferrato dalle truppe austro-ungariche proprio in quella conca. Tale assunto, rivela l'autore, è falso.
Già nel 1859, infatti, Friedrich Engels aveva pubblicato su un giornale tedesco un articolo nel quale si indicava, quale luogo ideale per sferrare un'offensiva contro il territorio italiano, proprio la zona geografica posta a nord di Gorizia.
I nostri vertici militari, quindi, sapevano benissimo, anche grazie a numerosi informatori, che gli austro-ungarici (adeguatamente sostenuti dai tedeschi) avrebbero tentato una sortita proprio in quel settore. A dimostrarlo, peraltro, ci sono anche le parole del generale Cadorna; il quale, non molto tempo prima dell'inizio della battaglia, aveva detto, con stucchevole supponenza: «Abbiamo preso imponenti misure difensive. Vengano pure. Li prenderemo prigionieri ed io li manderò a passeggiare a Milano per farveli vedere». Cadorna non fu, ovviamente, l'unico responsabile della disfatta di Caporetto. Anche altri degli ufficiali che lo contornavano, in verità, non furono da meno. Rivela infatti Barbero che Carlo Emilio Gadda (all'epoca un sottufficiale dell'esercito, e non ancora uno dei più grandi scrittori italiani del novecento), in una sua lettera, aveva ritenuto opportuno scrivere: «Il generale Cavaciocchi, che deve essere un perfetto asino, non ha mai fatto una visita al quartier generale, non s'è mai curato di girare tra i soldati. Eppure Giulio Cesare faceva ciò. Si dirà, non è compito suo. E con ciò?». E, in un'altra missiva, riferendosi ai nostri generali, li aveva definiti: «Asini, asini, asini, buoi grassi, pezzi da Grand Hotel, sigari avana, bagni termali, ma non guerrieri, incapaci di osservazione e di analisi, ignoranti di cose psicologiche». Dopo la disfatta i nostri vertici militari provarono a spiegare le ragioni di quella bruciante sconfitta, sostenendo che la colpa doveva essere attribuita solo alla «mancata resistenza dei reparti della 2ª Armata, vilmente ritiratisi senza combattere, ed ignominiosamente arresisi al nemico».
La verità, secondo Barbero, fu invece un'altra: i nostri soldati, per quello che fu possibile, combatterono valorosamente.
Ma, essendo mal guidati, mal equipaggiati e mal preparati, erano riusciti ad opporre solo una velleitaria resistenza alle truppe nemiche. Comunque andarono realmente le cose gli austro-ungarici, grazie alla vittoria di Caporetto, sfondarono il fronte orientale italiano penetrando nel nostro territorio per ben 150 chilometri (distanza rilevantissima per una guerra di posizione quale fu, notoriamente, la Prima Guerra Mondiale). Nonostante la disfatta, e dopo un comprensibile iniziale sbandamento, il nostro esercito seppe per fortuna compattarsi nuovamente; e, grazie alla successiva controffensiva sul Piave (iniziata forse non del tutto casualmente il 24 ottobre del 1918), riuscì a ribaltare le sorti del conflitto, e a sconfiggere definitivamente il nemico
Il "Premio Strega" Barbero presenterà il suo saggio nei locali della Provincia
Frosinone - La disfatta di Caporetto: alle 17, subito prima della presentazione, verranno premiati i migliori lettori dell’anno della biblioteca comunale di Frosinone
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