Se è vero che "fare un film significa migliorare la vita, sistemarla a modo proprio, prolungando i giochi dell'infanzia" (come sosteneva François Truffuat) è anche vero che fare un film significa necessariamente condividere tutto ciò con il pubblico e quando ciò non accade tutti ne usciamo sconfitti.

Come nel caso dell'ultimo film di Woody Allen "A Rainy Day in New York", a cui è stata vietata l'uscita nelle sale (e in streaming), a causa della "delicata"storia (la relazione tra un uomo di quarantaquattro anni ed una ragazza quindicenne) che ha provocato l'ira del  movimento #MeToo, che ha fatto riversare sul geniale regista newyorkese insinuazioni ed odio, a mezzo stampa, con l'inevitabile clamore dei social, riportando a galla la vicenda delle presunte molestie sessuali di Allen nei confronti della figlia adottiva Dylan Farrow, in riferimento al processo per la custodia dei figli dello stesso Allen e dell'attrice-compagna Mia Farrow tra il 1992 e il 1993, alla fine del quale il regista venne completamente assolto.

Ebbene, a distanza di venticinque anni, risulta perlomeno problematico trovare un collegamento tra quella vicenda e la guerra mediatica che ha travolto Woody Allen in questi ultimi mesi, con alcuni attori del cast che addirittura hanno dichiarato di non voler più lavorare con lui in futuro, donando il loro stipendio ad associazioni per la difesa delle vittime di violenze sessuali. Allora una considerazione appare inevitabile: questi attori erano sicuramente al corrente del processo in cui Allen venne coinvolto (data l'enorme popolarità del regista) all'epoca dei fatti, e adesso, cavalcando l'onda del movimento #MeToo (movimento volto a denunciare le molestie e le violenze contro le donne, soprattutto sul posto di lavoro, nato in seguito allo scandalo sugli abusi sessuali commessi dal produttore statunitense Harvey Weinstein), come possono prendere le distanze in modo così repentino e drastico da Allen, che, peraltro, è bene sottolinearlo, è stato assolto da ogni accusa?

Se, come ci è stato insegnato, dobbiamo avere fiducia nella giustizia, dobbiamo necessariamente credere alla sua innocenza dunque, come all'innocenza di qualsiasi altro imputato che viene assolto da un'accusa, qualunque essa sia. Fortunatamente alcuni attori si sono schierati con il regista, sottolineando l'ingiustizia a cui è andato incontro il suo ultimo lavoro: la mancata distribuzione del film è opera di AmazonStudios, che, prendendo atto del polverone che si è creato intorno al film, ha deciso di non distribuirlo, in una sorta di censura artistica e sociale che si fa fatica ad accettare. Forse non sapremmo mai se "A Rainy Day in New York" si sarebbe rivelato un capolavoro, o al contrario un insuccesso: ma ad oggi questo paradosso lede l'anima del cinema stesso e di qualunque libertà di espressione, privando lo spettatore ed il cinema delle loro peculiarità fondamentali, dell'atto del vedere e dell'esser visto.