Il nuovo tormentone (o alibi) della politica è il referendum sulle riforme del prossimo autunno. Intendiamoci: l’importanza politica è enorme e, dopo che Matteo Renzi lo ha trasformato in un sorta di prova del fuoco sul suo gradimento, nel caso di vittoria dei no l’ipotesi delle elezioni politiche anticipate sarebbe assai concreta.
Ma il fatto è che ad ogni livello, anche in provincia di Frosinone, tutti non fanno altro che ripetere che per questa o quella scelta essenziale bisognerà aspettare l’autunno.
Ma cosa c’entra il referendum, per esempio, sulla scelta del candidato sindaco di Frosinone da parte del centrosinistra? E cosa c’entra con una seria verifica politica del Pd provinciale dopo la disfatta di Cassino? Ancora: cosa può entrarci il referendum con una sorta di “tagliando” alla maggioranza della Provincia, all’interno della quale ci sono sia Pd che Forza Italia? In realtà nulla, ma la politica vive di continui rinvii, di decidere di non decidere, di spostare sempre avanti le lancette. Perché la politica sa bene che in Italia nulla, ma proprio nulla, è più definitivo del provvisorio. Specialmente in un momento come questo, dove le certezze crollano una dopo l’altra. Nel caso al referendum vincessero i sì, al Senato ci sarebbero meno posti, le Province si avvierebbero all’abolizione come enti costituzionali e resterebbero come “area vasta”. Poi si andrebbe alle urne con l’Italicum, con pochissimi posti blindati. Probabilmente appannaggio dei big di prima e seconda fascia dei rispettivi partiti. Allora meglio non anticipare, meglio non avere fretta. Però il rovescio della medaglia è rappresentato dal fatto che per le elezioni comunali si vota comunque. Ogni anno. Nel recente passato ha festeggiato il Pd, stavolta invece a brindare è stata Forza Italia. Ma in ogni caso si respira quel senso di fragilità politica che fa sì che ogni scenario rimane comunque precario oltre che provvisorio. E allora perché affrettare gli eventi? Si perde nei Comuni? Beh, qualcuno deve pur perdere.