Roma, 11 nov. (Adnkronos Salute) - In Italia su una popolazione di 450 mila nati vivi vengono diagnosticati circa 3.000 casi di infezione congenita da citomegalovirus e di questi circa 3 o 400 vengono alla luce con una sintomatologia evidente. Sintomi e conseguenze spesso gravi. In questo contesto diventa fondamentale riconoscere alla nascita i neonati congenitamente infetti, per sottoporli al protocollo e follow up diagnostico-assistenziale attraverso una serie di accertamenti clinici strumentali e di laboratorio per garantire in caso di necessità l’intervento terapeutico precoce. Questo uno dei temi discussi a Rimini durante il Congresso nazionale dell'Associazione microbiologi clinici italiani (Amcli), in corso fino a domani.

In particolare, durante un workshop sul tema, Agata Calvario, virologa del Policlinico di Bari ha esaminato i più recenti studi pubblicati in letteratura circa i costi-benefici relativi all’introduzione nell’attività clinica dello screening universale neonatale.

I sintomi clinici dell'infezione sono diversi. Ad esempio: microcefalia, ventricolomegalia, epatosplenomegalia, ittero e ritardo di crescita. Tutti gravemente invalidanti per la crescita e lo sviluppo psicomotorio del bambino. La maggior parte di questi neonati va incontro allo sviluppo successivo delle sequele tardive quali la sordità, il ritardo mentale e difetti motori. Nei restanti casi, l’infezione da citomegalovirus alla nascita si presenta come infezione asintomatica ma nel tempo può progredire (8-15% dei casi) verso la comparsa delle sequele tardive.

"I trial clinici eseguiti a livello mondiale - ha riferito Marcello Lanari, pediatra e docente di Pediatria dell’università di Bologna - hanno dimostrato che il trattamento, eseguito entro il primo mese di vita, con farmaci specifici anti Cmv dell’infezione congenita sintomatica citomegalica con coinvolgimento del sistema nervoso centrale è associato ad un miglioramento della funzione uditiva ed una riduzione dei tassi di deficit di neurosviluppo".

"Oggi non avendo terapie preventive primarie, secondarie e terziarie per le donne gravide che vanno incontro ad una infezione da CMV durante la gestazione l’unica possibilità concreta che abbiamo a disposizione per identificare i neonati infetti è sottoporli ad uno screening neonatale universale. Lo screening può essere proposto raccogliendo alla nascita in campione di saliva e/o di urina. Questi campioni sono valutati con test molecolari, con performance elevate sia per quanto riguarda la sensibilità sia la specificità", ha spiegato Tiziana Lazzarotto, microbiologa dell’università di Bologna e membro del direttivo Amcli.

"Questo approccio di screening in Italia è ancora a livello di studio clinico mentre negli Stati Uniti in oltre 10 Stati è stato implementato e adottato con ottimi risultati", ha aggiunto Lanari. "È importante l’approccio multidisciplinare (microbiologo, ostetrico, neonatologo e pediatra) nell’identificare e seguire questa grave patologia virale, partendo dalla donna in gravidanza al neonato al fine di assicurare l’appropriata cura dei piccoli pazienti infettati congenitamente da Cmv", ha concluso Pierangelo Clerici, presidente Amcli e direttore dell'Unità operativa di Microbiologia dell'azienda socio sanitaria territoriale Ovest milanese.