Roma, 25 mar. (Labitalia) - Sale a 7 milioni 810 mila il numero dei lavoratori italiani interessati dal blocco delle attività previsto dal Dpcm 22 marzo 2020: rispetto al primo provvedimento adottato l’11 marzo, che aveva interessato principalmente commercio e servizi, la platea degli occupati che da oggi 25 marzo si ritrova a casa per decreto aumenta sensibilmente, di 5 milioni 8 mila unità. E' quanto emerge da una elaborazione della Fondazione studi dei consulenti del lavoro.

Dopo l’ulteriore stretta del governo, la fotografia del lavoro ai tempi dell’emergenza Covid-19 vede il 34,8% del totale degli occupati a casa, a seguito del blocco dell’attività, il 27,2% occupato in settori destinati all’erogazione di servizi essenziali (complessivamente 6 milioni 118 mila) e il 38% occupato in settori potenzialmente ancora in attività, in quanto non soggetti a blocco delle attività (8 milioni 522 mila lavoratori). La chiusura delle attività prevista dall’ultimo decreto ha riguardato, come noto, principalmente le attività industriali.

Complessivamente, su 100 lavoratori interessati dai provvedimenti (11 e 22 marzo), il 46,2% è occupato nel manifatturiero (3,6 milioni di lavoratori) e il 53,1% nei servizi (4,1 milioni di lavoratori). Calcolando il livello di blocco, l’industria lascia complessivamente a casa 6 lavoratori su 10 (59,6% della forza lavoro), mentre per i servizi, il blocco interessa poco più di un quarto dei lavoratori (26,7%).

Tra i settori industriali maggiormente interessati dai provvedimenti vi è la fabbricazione dei prodotti in metallo: settore traino del Paese, è quello con il maggiore impatto occupazionale, con 574 mila lavoratori a casa, pari al 7,4% del totale di quelli interessati dal provvedimento. Seguono: fabbricazione di macchinari (431 mila occupati), di autoveicoli (212 mila) e il metallurgico (191 mila). Senza contare l’impatto del blocco dei cantieri: tra costruzioni di edifici e lavori specializzati, l’edilizia lascia a casa 862 mila lavoratori, pari all’11,1% di quelli interessati dal provvedimento.

Ma la maggior parte dei lavoratori che restano a casa è occupato nei servizi. Dei 4,1 milioni di lavoratori interessati dai provvedimenti, 1,1 sono addetti alla ristorazione (14,9% del totale), settore inattivo dall’11 marzo. Segue il commercio, al dettaglio (961 mila occupati a casa, pari al 12,3%) e all’ingrosso (429 mila): una chiusura che in questo caso è parziale (interessa circa la metà degli occupati del settore) con molte attività che restano aperte, come supermercati, alimentari, farmacie. Rilevante è anche l’impatto occupazionale della chiusura delle attività di servizio alla persona, tra cui centri estetici, parrucchieri, dove sono più di 395 mila i lavoratori che restano a casa.

Complessivamente, su 100 lavoratori bloccati dal decreto, 56 sono al Nord (20,6% in Lombardia), 20 al Centro e 24 al Sud. La differente geografia economica e produttiva determina anche una diversità importante tra le regioni in termini di impatto occupazionale. Le Marche, regione a forte vocazione manifatturiera proprio nei settori interessati dal decreto, è in assoluto quella con la più alta quota di lavoratori che restano a casa: 43 su 100 contro una media italiana del 34,8%. Seguono Veneto (39,8%), Piemonte (37,8%), Lombardia (37,5%), a cui va però aggiunto l’effetto delle ordinanze regionali, ed Emilia Romagna (37,4%). Al Centro (33,1%) e al Sud (31,2%) l’impatto occupazionale dei provvedimenti è più basso, con regioni come Lazio e Sicilia dove il blocco delle attività interessa circa un lavoratore su quattro, rispettivamente il 27,4% e 27,2%.