Troppo dolce il gusto della serie A. Troppo bello il profumo dello Juventus Stadium, del Meazza, dell’Olimpico. Troppo entusiasmante vedere giocare nel mitico Matusa, la Juventus, l’Inter, il Milan. Troppo intrigante non pensare che quel sogno trasformato in realtà ma, purtroppo, soltanto per pochi mesi, possa un giorno non lontano avverarsi di nuovo. In fondo il Frosinone che tra poco più di un mese si presenterà ai nastri di partenza del nuovo campionato di B, è praticamente lo stesso che soltanto un anno fa la serie cadetta l’ha vinta. E con pieno merito.

Un irriconoscente Blanchard in meno e, di contro, gli entusiasti Bardi e Pryyma in più (almeno fino ad oggi). La novità più importante rispetto a quella rosa canarina che ha conquistato la Serie A al termine della stagione 2014-2015 è rappresentata certamente dalla guida tecnica. Al posto di Roberto Stellone sulla panchina giallazzurra siede oggi Pasquale Marino. Un allenatore di sicura esperienza per la categoria, come dimostrano le stagioni trascorse alla guida di formazioni importanti come ad esempio il Catania, l’Udinese, il Parma o il Genoa, arrivato nel capoluogo ciociaro con la giusta voglia e la determinazione per provare a regalare e regalarsi una grande impresa. Dal giorno della firma con il club ciociaro fino ad oggi, di mister Marino si è detto praticamente quasi tutto riguardo propositi e obiettivi, giocatori e tattica. Proviamo allora ad andare a conoscere il neo allenatore canarino innanzitutto come ex giocatore e uomo al di fuori del rettangolo di gioco, prima che nelle vesti di attuale tecnico del Frosinone.

La sua carriera di calciatore è cominciata nel 1979, all’età di 17 anni ed è durata per ben 18 stagioni. Nemmeno il tempo di attaccare le classiche scarpette al chiodo, che ha subito intrapreso la carriera di allenatore.

Che tipo di giocatore era Pasquale Marino?

“Un normalissimo giocatore di Serie C con poca voglia di correre e un piede solo. Ma per fortuna abbastanza raffinato”.

Per caratteristiche a quale calciatore di oggi potrebbe paragonarsi?

“Ero troppo scarso per poter pensare di accostare Marino calciatore a un qualsiasi giocatore più o meno importante di oggi”.

Il suo idolo da bambino?

“Sicuramente Rivera e Mazzola. Sono cresciuto con loro ed erano quelli più apprezzati da tutti in generale”.

E da adulto?

“Mi piacciono i calciatori estrosi. Per cui tra quelli in attività dico Totti. Adoravo Del Piero e quando Baggio ha deciso di smettere con il calcio per me è stato un giorno molto triste”.

Il momento più bello della sua carriera di calciatore?

“La promozione dalla C2 alla C1 con il Siracusa. Nella gara decisiva arrivò anche una mia marcatura personale”.

Quello, invece, più brutto?

“La retrocessione con la squadra della mia città: il Marsala. Quell’anno la società ebbe gravissimi problemi a livello economico e sul campo diventò tutto più difficile”.

Cosa le è mancato per poter giocare nella massima serie, ma anche soltanto in quella cadetta?

“Ero limitato dal punto di vista atletico per poter pensare di disputare campionati di livello superiore alla serie C. E tutti sanno che per giocare in A ma anche in B bisogna essere atleti veri”.

In quale categoria Marino allenatore avrebbe fatto giocare Marino calciatore?

“Probabilmente avrebbe giocato molto poco. Al massimo in C2. Già in C1 avrebbe fatto molta panchina”.

Agli inizi della sua carriera di calciatore, quando era ancora molto giovane ha conosciuto la donna della sua vita, la signora Katia, e da quel matrimonio sono nate Martina e Giorgia. Allora le chiedo: com’è Pasquale Marino fuori dal rettangolo di gioco nelle vesti di marito e padre?

“La famiglia rappresenta per me un valore fondamentale della vita. Per cui il mio impegno è sempre massimo per cercare di essere in ogni momento un buon marito e padre. Le mie tre donne sono il classico porto dove mi rifugio nei momenti difficili del mio lavoro”.

È appassionato di cinema?

“Molto. Non viaggio mai senza la mia scheda sky. Amo soprattutto le commedie e i film di azione. Ad esempio mi piacciono molto i vecchi film con Alberto Sordi”.

Che tipo di musica predilige?

“La maggior parte di quella italiana. In particolare ho un debole per le canzoni di Vecchioni, ma anche Ligabue e Vasco Rossi non mi dispiacciono affatto”.

Il disco a cui è più legato, magari per un ricordo del tutto particolare?

“Sinceramente nessuno”.

Il suo libro preferito?

“Non sono un grande cultore della lettura, fatta eccezione per quella inerente il mio lavoro. I libri di psicologia sono i miei preferiti”.

E i quotidiani, magari quelli sportivi?

“Tutti i giorni. Ma non mi fermo solo alle pagine che riguardano lo sport”.

Crede in Dio?

“Assolutamente sì. Sono cresciuto in una parrocchia a due passi da casa mia. È lì che ho cominciato a tirare i primi calci a un pallone e a innamorarmi di questo sport”.

A questo punto qualche domanda su Marino allenatore. C’è un tecnico al quale si ispira in maniera particolare e che può considerare una sorta di maestro?

“Mi piacciono quelli che mettono in pratica un gioco propositivo al di là dei numeri e dei moduli. Per quanto riguarda invece un mio maestro, rispondo senza esitazioni, Paolo Lombardo. Un precursore dei tempi. Già a inizi anni ‘80, quando guidava il Siracusa, giocava con la difesa alta e lavorava nei dettagli sulla tattica del fuorigioco. Ancora oggi mi sento con lui e ci confrontiamo su quello che è il mio operato. L’unica differenza è che il mio vecchio mister basava il 70% del lavoro sulla fase difensiva e il restante su quella offensiva, mentre il sottoscritto fa il contrario”.

La soddisfazione più grande che le è arrivata dalla “panchina”?

“Ogni obiettivo raggiunto al termine di una stagione ha sempre rappresentato una grandissima soddisfazione. Però è chiaro che la vittoria del campionato di B alla guida del Catania ha avuto un sapore ancora maggiore. Così come è indimenticabile la salvezza ottenuta la stagione successiva nella massima serie, nonostante dieci gare giocate in campo neutro (il terreno di gioco degli etnei era stato squalificato dopo i noti fatti legati all’omicidio Raciti, ndr) di cui ben otto a porte chiuse”.

La scelta, di club o giocatore o quant’altro, che oggi mister Marino non rifarebbe?

“Andare via dall’Udinese quando avevo ancora due anni di contratto. È quello il mio pentimento più grande”.

Il giocatore più forte che fin qui ha allenato?

“Ho avuto la fortuna di essere il tecnico di molti campioni come i vari Quagliarella, Giovinco, Palacio, Asamoah e tanti altri, ma dico senza ombra di dubbio Totò Di Natale”.

Quello che l’ha maggiormente sorpresa in positivo?

“Isla. Quando sono arrivato a Udine aveva diciotto anni e non pensavo potesse avere un grande futuro, tant’è che lo mandai a giocare nella Primavera. Alla fine di quella stagione, però, lo richiamai in prima squadra. Undici presenze il primo anno e poi titolare inamovibile in qualsiasi ruolo avevo bisogno. Se non avesse avuto quell’infortunio nel periodo della Juventus, sarebbe diventato un punto di forza anche del club torinese”.

E in negativo?

“Floro Flores. Non è che mi abbia sorpreso in negativo, nel senso che è comunque un ottimo giocatore e ha avuto una buona carriera, ma quando l’ho allenato ero convinto che avrebbe giocato per almeno dieci anni con la nazionale. Aveva tutto perché ciò accadesse e ancora oggi mi domando perché invece non è stato così”.

Il fatto che sia stato un giocatore di buona tecnica può significare che oggi da allenatore il bel gioco conta più del risultato?

“Il bel gioco è fondamentale ma proprio per poter arrivare ai risultati. Le vittorie non sono altro che la conseguenza di tutto questo”.

In genere le sue squadre si affidano al modulo 4-3-3. Sarà così anche a Frosinone?

“Da questo punto di vista non sono certo un integralista. L’importante è tirare sempre fuori il meglio da ogni calciatore che hai a disposizione. Più organizzazione di gioco c’è e più il singolo può dare il meglio di sé. E poi negli ultimi sedici metri lascio sempre grande libertà di movimento”.

Soddisfatto della rosa a disposizione?

“Molto. Un gruppo forte e coeso, che sta lavorando con grande umiltà e abnegazione. Ora aspettiamo di completarlo al meglio con quei piccoli rinforzi promessi dalla società”.

Società che si è posta come obiettivo minimo l’undicesimo posto (o meglio la prima “colonna” della classifica). Ma, in tutta sincerità, a Marino basterebbe?

“Il mio unico obiettivo, che è poi quello che sto trasmettendo a questi miei ragazzi, è soltanto quello di dare sempre il massimo in ogni partita. Uscire dal campo senza il minimo rimpianto. Per noi stessi e, soprattutto, per i tifosi”.

A proposito di tifosi, che effetto le hanno fatto gli applausi ricevuti da oltre 1500 supporter nella prima amichevole della stagione?

“Una sensazione bellissima. Adesso, però, bisogna meritarli sul campo nella partite che contano. Con la sottoscrizione di oltre cinquemila abbonamenti i nostri tifosi hanno dimostrato di credere in noi. Bisogna ripagare sul campo questo loro affetto e soprattutto la grande fiducia dimostrata nei nostri confronti”.