Nel 1186 Enrico VI, figlio del Barbarossa, sposò Costanza d’Altavilla facendo infuriare papa Urbano III, che iniziò a fomentare rivolte anti imperiali. Il suo atteggiamento indusse Enrico a penetrare nei territori della Chiesa per impadronirsi di alcune città, ma non sempre i loro muniti baluardi capitolarono. Così fu per Guarcino, dove: …ai precoci chiarori del giorno i terrazzamenti delle mura erano già gremiti di popolo che assisteva, spaventato e impotente, all’avanzare del nemico. Quando i primi cavalieri furono a meno di mezzo miglio, una delegazione di cittadini li costrinse ad arrestarsi. I guarcinesi proposero ai loro comandanti di risolvere la faccenda, senza inutili spargimenti di sangue, attraverso una singolar tenzone fra due cavalieri degli opposti schieramenti. Nell’udire la proposta, gli ufficiali tedeschi si guardarono senza nascondere un beffardo stupore, come se considerassero quella spavalda sfida già vinta in partenza. Comunque, si allontanarono per riferire a Enrico affinché decidesse. Il sovrano non riuscì a trattenere una fragorosa risata, considerando i guarcinesi degli sciagurati che, senza alcuna speranza di successo, avevano deciso di consegnargli la città senza colpo ferire. Gli ufficiali tornarono quindi sotto le mura per rendere noto che Enrico aveva accettato la proposta. Delle decisioni e dell’imminente duello venne informato il Malpensa, che non impiegò molto tempo a prepararsi. Quando uscì in strada era bardato di tutto punto. La folla lo acclamò, urlando il suo nome come in un rito propiziatorio, per affidare al suo valore il destino della città. Uscì di porta sul suo destriero per raggiungere l’improvvisata arena, delimitata dalle mura cittadine e dallo schieramento della cavalleria imperiale che pregustava già il sapore della vittoria. Il paladino tedesco trattenne il cavallo e abbassò la lancia in segno di saluto. Malpensa fece altrettanto. Poi, obbedienti a un misterioso segnale, calarono le celate e, lancia in resta, spronarono i destrieri a correre verso un comune destino. In un baleno furono faccia a faccia, ma non ebbero neanche il tempo di rendersene conto, perché una fragorosa schioccata dal suono metallico precedette di qualche istante la rovinosa caduta del duellante imperiale, centrato a una spalla. Il devastante impatto gli fracassò le ossa e l’urto fu talmente violento che, per effetto del contraccolpo, neanche Malpensa riuscì a mantenersi in sella.

I guarcinesi esultarono, mentre il loro beniamino, tiratosi su, rimase a osservare l’avversario, immobile a terra. Fece trascorrere del tempo prima di avvicinarsi con estrema cautela. Il tedesco, disteso supino, aveva il braccio sinistro ruotato in posizione innaturale e, nonostante il dolore lancinante, era cosciente.

Con la punta della spada Malpensa spostò la celata del rivale e gli apparvero due occhi sbarrati che lo fissavano con terrore. Da essi traspariva la terrificante sensazione di panico per la morte imminente. Stava per conficcare la spada nella gola di quel corpo paralizzato, quando l’angoscia lo bloccò. Non se la sentiva di uccidere a sangue freddo un suo simile, per di più impossibilitato a opporre una qualsiasi difesa. Neanche la certezza di mettere fine alle sue sofferenze riuscì a fargli affondare il colpo di grazia. Drizzò in alto la spada per rendere onore all’avversario e montò a cavallo dirigendosi alla porta principale. Qui lo accolse una folla in tripudio, che lo scortò fino al Palazzo del Governo fra canti e balli.

Una volta liberato dall’armatura, venne condotto alla presenza dei consoli, dai quali ricevette in forma ufficiale la gratitudine dell’intera città. Per lui era pronta anche una generosa ricompensa in danaro, contenuta in un prezioso cofanetto. Di fronte a tanta riconoscenza, Malpensa si emozionò al pensiero di aver reso felice una città intera.

In memoria dei suoi antenati guarcinesi rinunciò alla ricompensa in danaro, chiedendo in dono soltanto il cavallo impiegato nel duello.