«Quello del fiume Sacco rimane un disastro ambientale di proporzioni notevoli che ha comportato una contaminazione umana di sostanze organiche persistenti considerate tossiche dalle organizzazioni internazionali. Proprio perché la contaminazione è purtroppo persistente non esistono metodi di prevenzione e di rimozione dell’inquinante». Davvero impietose le risultanze dell’ultimo rapporto di sorveglianza sanitaria pubblicato dal Dipartimento di Epidemiologia del Servizio sanitario regionale del Lazio. Sono, infatti, emersi nuovi preoccupanti elementi di associazione tra la presenza del Beta-esaclorocicloesano nel sangue dei residenti della “Valle della Morte” e alcune patologie, in aggiunta ai problemi della precedente pubblicazione. Dicono, senza ombra di dubbio, che si tratta di un episodio che ha implicazioni etiche, politiche e sociali di livello nazionale. Ma per capire come stanno le cose bisogna risalire al 2009, quando la Regione Lazio mette in atto un programma di sorveglianza sanitaria ed epidemiologica della popolazione residente in prossimità del fiume Sacco, nell’area identificata a rischio. Tra il 2010 e il 2012 scatta la prima fase del programma. Poi, viste le gravi risultanze, tra il 2013 ed il 2015 si passa a una nuova analisi incentrata sul ruolo dei singoli cibi prodotti nella zona per valutare l’esistenza di una specifica modalità di contaminazione, proprio per capire gli effetti del Betaclorocicloesano sulla salute cardiovascolare e sulla sindrome metabolica nella popolazione. Ora una conferma negativa, data da uno studio terminato a giugno, e cioè che per quanto riguarda l’inquinante la concentrazione media riscontrata nel sangue delle persone esaminate non si discosta da quanto rilevato nelle passate indagini e, quindi, la contaminazione umana è persistente. Inoltre in questa fase è stata analizzata la presenza di altri inquinanti. E la concentrazione ematica di alcuni di essi, in particolare l’HCB, risulta correlata con quella del Beta-HCH condividendone le caratteristiche di associazione: «Tale dato sta ad indicare - scrivono i ricercatori - che la contaminazione del Beta-HCH non è stata isolata ma si è accompagnata, seppure in modo minore, a quella di altri contaminanti chimici persistenti che coesistono nell’organismo».

Confermato pure che i principali veicoli della contaminazione sono stati l’utilizzo di acqua dei pozzi e il cibo prodotto nella zona. Ma in aggiunta viene evidenziato il ruolo chiave del consumo di uova e di carne bovina locali. Lo studio inoltre ha approfondito altri aspetti degli effetti del Beta-HCH, riscontrando un effetto specifico dell’inquinante organoclorurato su diversi sistemi: in particolare sull’apparato cardiovascolare e sulle funzioni metaboliche.

I risultati dello studio mostrano un’associazione tra livelli ematici di Beta- HCH, pressione arteriosa, frequenza cardiaca, metabolismo lipidico e sindrome metabolica. È emerso che la sistolica, più della diastolica, è risultata associata ad alte concentrazioni di betaesaclorocicloesano. Tradotto sta a significare che l’esposizione a Beta-HCH potrebbe indurre all’invecchiamento vascolare precoce. Quindi l’associazione rilevata tra le concentrazioni dell’inquinante e la frequenza cardiaca è di rilevanza clinica, in quanto una elevata frequenza cardiaca a riposo è associata a un aumento della mortalità per patologie cardiovascolari, indipendentemente dai fattori di rischio convenzionali. Anche se le conclusioni generali sono necessariamente caute nell’indicare l’esistenza di un nesso di causa ed effetto, è stata riscontrata un’associazione positiva tra l’inquinante e il battito cardiaco, la circonferenza addominale, l’indice di massa corporea e la sindrome metabolica.

Infine il pesante richiamo: «Le autorità locali - conclude il Dep - hanno il dovere di informare la popolazione, di salvaguardarne la salute specie nei gruppi sociali più deboli, di offrire l’assistenza sanitaria adeguata, e di garantire un continuo monitoraggio epidemiologico e sanitario».