Come muoversi in caso di terremoto, dove andare? Queste semplici domande sono rimbalzate da più parti in questi ultimi giorni a livello nazionale, ma anche locale. C’è chi ha posto una questione molto importante. Se si chiedesse a un cittadino italiano residente in un determinato comune di indicare l’area d’attesa e ammassamento in caso di terremoto, questi non saprebbe nulla a riguardo. In realtà, ogni Comune, dovrebbe avere un piano di protezione civile aggiornato.

A lanciare l’allarme nei giorni scorsi è stato il geologo Roberto Spalvieri. Il professionista frusinate ha messo il dito nella piaga, evidenziando che la gran parte dei Comuni non ha dato seguito alle linee guida fornite dal dipartimento di protezione civile nazionale. Evidenziando che, nel caso di un evento sismico, “la popolazione non saprebbe proprio cosa fare”. Facendo notare che la Ciociaria è un’area a rischio elevato, soprattutto per quel che concerne il Sorano, la Valcomino e parte del Cassinate: “Ci sono aree - ha evidenziato il geologo - che si trovano in situazioni del tutto simili a quelle in cui si sono verificati i tragici eventi di questi giorni: zona 1, rischio molto elevato”.

Secondo la mappa pubblicata sul sito della presidenza del consiglio (dipartimento di protezione civile), il 60% dei Comuni del Lazio non risulta in regola. Tra i grandi assenti Frosinone e Latina. In Ciociaria la percentuale di quelli che non hanno risposto all’appello è del 37,4%. Va da sé che i sindaci di una provincia ad alto rischio sismico, dove molti paesi risalgono al Medioevo, dovrebbero porre più attenzione alle norme anti-terremoto.

La lista nera

Oltre al capoluogo, la lista nera comprende: Amaseno, Anagni, Aquino, Atina, Ausonia, Belmonte Castello, Boville Ernica, Broccostella, Casalvieri, Castelnuovo Parano, Castro dei Volsci, Colfelice, Collepardo, Coreno Ausonio, Fontana Liri, Fontechiari, Isola del Liri, Monte San Giovanni Campano, Paliano, Pastena, Pico, Ripi, Rocca d’Arce, San Vittore del Lazio, Serrone, Strangolagalli, Supino, Torre Cajetani, Vallecorsa, Vallerotonda, Vico nel Lazio e Villa Santa Lucia.

Il piano d’emergenza

“È lo strumento - spiega la protezione civile -che consente alle autorità di predisporre e coordinare gli interventi di soccorso a tutela della popolazione e dei beni in un’area a rischio. Ha l’obiettivo di garantire, con ogni mezzo, il mantenimento del livello di vita “civile” messo in crisi da una situazione che comporta gravi disagi fisici e psicologici. Assegna anche la responsabilità alle organizzazioni e alle persone per azioni specifiche, progettate nei tempi e nei luoghi. Tutto in caso di un’emergenza che supera la capacità di risposta o la competenza di una singola organizzazione”.

Inoltre descrive come vengono coordinate le azioni e le relazioni fra organizzazioni; evidenzia in che modo proteggere le persone e la proprietà in situazioni di emergenza e di disastri; identifica il personale, l’equipaggiamento, le competenze, i fondi e altre risorse disponibili da utilizzare durante le operazioni di risposta. Pone l’accento sulle iniziative da mettere in atto per migliorare le condizioni di vita degli eventuali evacuati dalle loro abitazioni: “È un documento - aggiunge la protezione civile - che deve essere aggiornamento continuamente e che deve tener conto dell’evoluzione dell’assetto territoriale e delle variazioni negli scenari attesi. Anche le esercitazioni contribuiscono all’aggiornamento del piano perché ne convalidano i contenuti e valutano le capacità operative e gestionali del personale. La formazione aiuta, infatti, il personale che sarà impiegato in emergenza a familiarizzare con le responsabilità e le mansioni che deve svolgere in emergenza”. Essere negligenti in questo ambito è davvero pericoloso, specialmente in quei Comuni che sorgono in prossimità dell’Abruzzo, ovvero a ridosso della faglia appenninica: la più pericolose d’Italia.