Le Poste gli avevano contestato il superamento del tetto di assenze e lo avevano licenziato. La Corte di Cassazione ha stabilito che quel licenziamento non era legittimo e ha confermato la reintegra al posto di lavoro di A.S., così come già deciso dalla Corte d’appello di Roma. Finale a lieto fine, dunque, per il lavoratore, assistito dall’avvocato Antonio Rosario Bongarzone, al termine di una lunga battaglia processuale che si trascinava dal 2008.

Il dipendente era stato licenziato da Poste italiane per aver superato il periodo di malattia consentito, ovvero il cosiddetto “periodo di comporto”. Da sempre A.S. aveva ritenuto che la comunicazione con la quale erano state contestate le assenze fosse generica non consentendo una precisa difesa al lavoratore.

In primo grado il tribunale di Frosinone aveva ritenuto che la contestazione del datore di lavoro fosse esauriente ed aveva respinto il ricorso. Il lavoratore non si era dato per vinto e aveva promosso un ricorso alla Corte d’appello che ha riformato la decisione del tribunale di Frosinone e reintegrato in servizio l’addetto al recapito accogliendo le ragioni esposte dall’avvocato Bongarzone.

Dal canto suo, Poste italiane, lamentando una non corretta interpretazione delle regole di diritto da parte dei giudici di secondo grado, aveva ricorso in Cassazione. Quest’ultima ha sottolineato il fatto che la Corte d’appello aveva ritenuto che «qualora l’atto di intimazione del licenziamento non precisi le assenze in base alle quali sia ritenuto superato il periodo di conservazione del posto di lavoro, il lavoratore ha la facoltà di chiedere al datore di lavoro di specificare tale aspetto fattuale delle ragioni del licenziamento». Pertanto, nel caso di mancata ottemperanza alla richiesta del lavoratore, di tali assenze «non può tenersi conto ai fini della verifica del superamento del periodo di comporto».

Nel caso di specie - argomentano i giudici - la risposta delle Poste si presenta sul punto «molto lacunosa non consentendo - al pari dell’atto di intimazione del licenziamento - la dettagliata e specifica indicazione dei giorni di assenza», come era stato domandato ai sensi delle norme in vigore. Da qui la pronuncia nel senso dell’illegittimità del licenziamento da parte della Corte d’appello. Pronuncia che ha retto al vaglio della Cassazione che ha ritenuto inammissibile il ricorso del datore di lavoro, condannato così alla reintegra del dipendente A.S. Tutti i tre motivi del ricorso sono stati ritenuti non fondati. Sulla scorta di altre pronunce, la Cassazione ha ribadito che «nel licenziamento per superamento del periodo di comporto, a fronte della richiesta del lavoratore di conoscere i periodi di malattia, il datore di lavoro deve provvedere ad indicare i motivi del recesso».