Arteria lesionata durante un intervento chirurgico e la paziente muore. Aveva 66 anni Teresa Carinci, di Ceccano, quando il 1 agosto 2015 moriva all'ospedale di Frosinone. Per quel decesso il gup del tribunale di Frosinone, Ida Logoluso, su richiesta del procuratore Giuseppe De Falco ha rinviato a giudizio il medico ch  ha effettuato l'intervento, Maria Rita Pecci, 58 anni, del capoluogo. La prima udienza, per omicidio colposo, si terrà il 10 aprile. La donna, convivente dell'imprenditore del settore dei trasporti Alfonso Toti, doveva essere sottoposta ad un'operazione per liberarla da alcuni polipi all'utero.
Per questo era stata ricoverata in regime di day hospital nel reparto di Ginecologia dopo aver programmato l'intervento insieme ai sanitari che la seguivano. Secondo il programma, avrebbe avuto un breve periodo post-operatorio e sarebbe subito stata dimessa. Tutto è andato liscio fino all'entrata in sala operatoria. Poi però qualcosa non ha funzionato a dovere e la donna è morta. La procura, sulla scorta anche della consulenza tecnica richiesta dal pm, contesta «per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia e con condotta consistita nell'aver provocato, durante l'effettuazione di un intervento chirurgico di resezione isteroscopica e biopsia endometriale con ansa monopolare sulla persona di Teresa Carinci, la lacerazione dell'utero in prossimità dell'istmo e una lacerazione lineare a tutto spessore di circa 1,5 centimetri dell'arteria iliaca esterna sinistra».
Lesione che Teresa Carinci, 66 anni, si era sottoposta a un intervento chirurgico all'ospedale di Frosinone il 1 agosto 2015 Dopo l'intervento è morta, ora il tribunale dovrà valutare le responsabilità La difesa contesta la ricostruzione del pm e punta l'indice su macchinario e tempi della lesione Paziente morta, medico a giudizio L'inchiesta Il gup ha detto sì a un processo per omicidio colposo a carico della ginecologa che eseguì l'inter vento Teresa Carinci, 66 anni, doveva sottoporsi al prelievo di tessuto dall'utero, ma morì a causa di un'e m o r ra g i a provocava l'emorragia fatale, secondo la ricostruzione dell'accusa. Alla base di ciò ci sarebbe sulla scorta delle contestazioni che vengono mosse alla ginecologa un'errata manovra di ingresso nell'utero per l'asportazione del tessuto. La procura contesta che la dottoressa avrebbe effettuato «un secondo accesso in utero con lo strumento, quando un primo prelievo di tessuto era già stato effettuato nella parete destra dell'utero, così aumentando ingiustificatamente il rischio operatorio in presenza di un utero della paziente atrofico, nonché omettendo di sospendere l'intervento in presenza di un'ottica dello strumento che non permetteva una visione ottimale del campo operatorio ed in assenza di ragioni di urgenza».
Il decesso di Teresa Carinci era conseguenza dello shock emorragico che determinava l'innesco di un'aritmia fatale.
Alla notizia del decesso i familiari avevano presentato una denuncia. Dopo il deposito della perizia del medico legale Maria Viglialoro, era stato disposto un successivo accertamento sul macchinario. La difesa ha ritenuto che l'in cidente si sarebbe verificato per un malfunzionamento del macchinario utilizzato per l'intervento. Ma non solo, sulla scorta dei propri consulenti, il medico legale e un ingegnere biomedico, la difesa, rappresentata dall'avvocato Natalino Guerrieri, ha sostenuto che la lesione ci sarebbe stata al primo accesso e a riprova di ciò ha citato un movimento spontaneo della gamba della paziente.
I familiari della donna si sono costituiti parte civile attraverso gli avvocati Christian Alviani, Vittorio e Antonio Perlini.
Il rinvio a giudizio è stato disposto anche per meglio valutare le due diversi tesi.