Le indagini per far luce sull'omicidio di Emanuele Morganti vanno avanti spedite. E anche gli interrogatori proseguono senza sosta. Non c'è pausa festiva che tenga per carabinieri e pool investigativo.
Numerose le persone ascoltate anche in queste ore, nel tentativo di chiarire diversi punti oscuri del pestaggio mortale. Al centro dell'inchiesta restano sempre il movente, le cause che hanno provocato il decesso e le modalità dell'aggressione.

L'attenzione ultimamente si è concentrata sullo staff della sicurezza. Anche attraverso le voci circolate che riferiscono di un pesante coinvolgimento di uno di loro. Tanto da convocare in caserma testimoni o persone informate sui fatti. I quattro, comunque, continuano a rimarcare la loro estraneità al delitto.

Anche se gli indizi a carico di uno sembrano essere piuttosto gravi. Per la procura, infatti, gli atteggiamenti assunti la notte del 24 e 25 marzo sono serviti proprio per coprirsi l'uno con l'altro.
Venerdì della scorsa settimana sono stati ascoltati, su loro richiesta, Damiano Bruni e Michael Ciotoli. Il procuratore De Falco e il sostituto Misiti hanno voluto sapere come hanno agito. Ma anche le mosse di Manuel Capoccetta e Pjetri Xhemal.

Entrambi, secondo Sharon Iaboni, presidente del circolo Arci, sono coloro che hanno accompagnato fuori dal locale le persone che stavano litigando. Gli altri due, invece, assistiti dagli avvocati Giampiero Vellucci e Riccardo Masecchia, hanno evidenziato nel corso del faccia a faccia con gli inquirenti che, a differenza dei colleghi, non sono mai usciti dal Miro.

L'attenzione dei magistrati pertanto si è spostata proprio sull'albanese e sull'altro uomo dello staff. Ieri, quindi, negli uffici all'ottavo piano del palazzo di Giustizia è stato sentito Capoccetta. Due ore di domande incalzanti sono servite al procuratore per ricostruire alcune fasi salienti della serata.

Il ventottenne di Ceccano, in un confronto piuttosto duro, si è difeso affermando che la sua funzione è stata soltanto quella di accompagnare le persone fuori dal locale. Facendo notare che trenta secondi dopo è rientrato per mettere al sicuro l'incasso della serata. Ha sottolineato pure che quella sera, nel corso del primo interrogatorio, non aveva nessun segno sulle mani. Un modo come un altro per dimostrare la sua innocenza. Aggiungendo poi che la perquisizione effettuata dai carabinieri nell'abitazione dove vive ha dato esito negativo.

Ma la sua deposizione, come quella delle altre persone accusate di omicidio, presenta parecchie discrasie. Chi indaga non crede minimamente alla versione dei fatti fornita da tutti coloro che tentano di sviare le indagini, minimizzando le proprie responsabilità.

Risposte importanti arriveranno dal responso della consulenza affidata al dottor Saverio Potenza, dell'Università di Tor Vergata, i cui esiti diranno se l'omicidio è stato provocato proprio da un manganello usato da un buttafuori. In tal caso il fatto di non avere segni di colluttazione per i magistrati sarà irrilevante.