Un tempo "una telefonata allungava la vita", ora salva la versione di greco o il... problema di matematica. Più che la telefonata con un interlocutore in carne ed ossa, c'è internet "compagno di classe" di parecchi studenti che non possono più farne a meno. Ecco allora che quando bisogna testare le capacità dei ragazzi con quelle temibili e terribili due ore di compito in aula, i prof si armano di scatola per il deposito di tutti i cellulari.

Ma, puntualmente, accade che i ragazzi ne abbiano un altro in tasta. Ecco allora che per risolvere complicati esercizi di matematica o temi di una letteratura mai studiata o, peggio ancora, le arzigogolate versioni, l'amico più fidato resta lo smartphone che i ragazzi sanno far correre, con buona pace per gli adulti, alla velocità della luce. Abili coi tasti, combinano pensiero e azione per ricevere risultati istantanei.

L'unica arte vera è quella di non farsi scoprire da prof che, spesso, appartengono a un'altra generazione e neppure immaginano che - come è accaduto in un istituto cassinate - il cellulare possa restare nascosto in un calzino oppure sotto una coltre di capelli possono celarsi le cuffiette con i fili dalla parte opposta. Fatti accaduti a Cassino e che, spesso, hanno portato finanche a un parere su un compito in classe, al posto del canonico voto, così scritto "Complimenti, sai copiare bene". Sì perché, se alla lavagna lo studente rasenta la mediocrità e al compito in classe diventa Einstein, c'è sicuramente qualcosa che non va. Oppure è accaduto in una versione di latino che il testo tradotto fosse eccedente rispetto a quello richiesto. Troppo zelo per lo studente che aveva azzeccato tutti i termini ed era riuscito a immaginare come finisse il discorso dell'autore classico.

Proprio loro, le anime della letteratura greca e latina, sembrano essere state relegate in soffitta dagli studenti che usano il cellulare pure a casa per tradurre ogni riga. Come accade per tante altre materie dove il primo "compito" che fanno i ragazzi seduti alla scrivania è trovare un riscontro online, sui tanti siti o gruppi di studenti, per avere un aiutino.

Poi c'è la frontiera dei social, ormai allegramente valicata da tutti. Su Whatsapp girano i compiti di tutte le materie, ormai a portata di click. «Anche noi docenti abbiamo scelto di far parte di questi gruppi - raccontato tre insegnanti di altrettanti istituti superiori della città martire - riusciamo a restare in dialogo con loro, a seguirli, a spronarli. E, certe volte, anche a fare un supplemento di spiegazione, per ribadire concetti o aiutare gli assenti». E loro, con il linguaggio "forbito" della generazione 3.0 spesso domandano "professorè, ma domani che si porta?". E ogni volta serve uno scatto di… pazienza e tanto temperamento per restare al passo coi tempi ma senza perdere la missione educativa.

Ma il dato allarmante resta uno solo: la tecnologia non aiuta. Piuttosto distrugge. «È un inferno. Non per la nostra attività didattica - chiosa un docente - ma per loro. A casa non fanno più nulla senza il telefonino. Ed è un aspetto, poi non parlano più tra di loro, sono disabituati alle comunicazioni interpersonali. E si isolano. Sta venendo su una generazione difficile. Il telefonino è un "delitto"della personalità».