Un'indagine complessa. Fatta di più piste. Dalla vendetta, allo scambio di persona. Fino a debiti per lo spaccio della droga. Un aspetto, quest'ultimo, che però non coinvolge direttamente la vittima. Gli inquirenti lavorano ormai senza sosta da circa un mese per dare un nome all'assassino. Ma il delitto di Emanuele Morganti appare sempre più come una sorta di puzzle. Difficile, a quanto pare, reperire tutte le tessere che occorrono per ricostruire la scena del crimine. Ed è per questo che il pool investigativo, composto dal procuratore Giuseppe De Falco e dai sostituti Vittorio Misiti e Adolfo Coletta, ascolta e riascolta i testimoni. Anche in maniera incessante. Lo fa sia negli uffici all'ottavo piano del palazzo di giustizia di Frosinone, sia in piazza Regina Margherita.

Venerdì sotto torchio sono finiti Damiano Bruni e Michael Ciotoli. Ma non solo. Parallelamente è stato ascoltato pure chi ha accompagnato Michel Fortuna ad Alatri la notte tra il 24 e il 25 marzo. Il teste, tenuto sotto pressione per tre ore, ha confermato che quella sera il frusinate era sul luogo del crimine. Le sue dichiarazioni avvalorano quel che già affermato da Mario Castagnacci. Ma sul pugno finale nulla è trapelato dalle strette maglie del riserbo istruttorio.

Quattro ore di interrogatorio, due per ciascuno, sono, invece, servite per chiarire diversi aspetti della notte del delitto. A iniziare da quanto accaduto all'interno del Miro. Chi indaga ha voluto sapere dagli uomini della sicurezza come hanno agito quella sera. Ma anche le mosse di Manuel Capocetta e Pjetri Xhemal. Il confronto è stato piuttosto pesante. A tratti davvero spigoloso. Di certo c'è che entrambi, assistiti dagli avvocati Giampiero Vellucci e Riccardo Masecchia, hanno evidenziato che, a differenza dei loro colleghi, non sono mai usciti dal locale.

L'attenzione della procura pertanto adesso si concentra sull'albanese e sull'altro uomo dello staff. Entrambi, infatti, sarebbero stati indicati da chi era presente come coloro che avrebbero picchiato e trascinato fuori il ventenne di Tecchiena. Appare peraltro strano che al momento nessuno dei due abbia fatto richiesta per dire quel che sa. Non si esclude che potrebbero farlo in una fase successiva. Anche per difendersi dalle accuse mosse da alcuni soci del pub, secondo i quali proprio uno degli uomini della sicurezza era in possesso dello sfollagente servito per colpire il ragazzo alla testa; l'oggetto che avrebbe provocato le lesioni mortali.

Risposte importanti in tal senso gli inquirenti le attendono dal responso della consulenza affidata al dottor Saverio Potenza, dell'Università di Tor Vergata, i cui esiti diranno se l'omicidio è volontario oppure preterintenzionale. E poi almeno una parte del giallo avrà contorni più definiti. Ma solo una parte.